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Omicidio Carlino: assolto il boss Fiore Clemente

Omicidio Carlino: assolto il boss Fiore Clemente

Sconto di pena anche per Domenico Pagnozzi. 

ROMA. Si è concluso, in Corte di Assise di Appello di Roma, presieduta dal Giudice  Giancarlo De Cataldo, il processo relativo all’omicidio di Giuseppe Carlino, vicenda per la quale  erano stati svolti  lunghi anni di attività di indagine dalla direzione distrettuale antimafia di Roma. Ieri pomeriggio la lettura del verdetto da parte del Presidente De Cataldo alla presenza di un folto gruppo di persone in una atmosfera carica di tensione, con i detenuti tra le sbarre ed altri collegati in videoconferenza. L’esito del processo di secondo grado ha sancito la clamorosa assoluzione del boss Clemente Fiore che era  condannato in primo grado ad anni trenta di reclusione per aver partecipato alla esecuzione materiale dell’omicidio. Le tesi giuridiche portate avanti con forza e determinazione dall’avvocato Dario Vannetiello e dall’avvocato Valeria Verrusio (entrambi nella foto) hanno finito per fare breccia nelle menti della giuria. E così, Clemente è stato l’unico imputato ad essere stato assolto;  il cinquantenne  temeva di trascorrere la sua vita nelle patrie galere, ma già stasera  lascerà la casa circondariale di Rebibbia e diventerà di colpo un uomo libero. Significativo passo avanti ha effettuato l’altro boss Domenico Pagnozzi, rappresentato dagli avvocati Dario Vannetiello e Marco Franco: la pena dell’ergastolo inflitta in primo grado è stata ridotta ad anni trenta di reclusione,  grazie alla importante esclusione dell’aggravante mafiosa. Gli sforzi della difesa del boss irpino trapiantato a Roma, Domenico Pagnozzi, e di quella del suo uomo di fiducia, Clemente Fiore, sono stati senza precedenti, se sol si pensi che l’avvocato Vannetiello ha arringato per due giorni interi nell’aula bunker del carcere di Rebibbia, oltre ad aver prodotto ben 2.400 pagine di documenti. Le altre condanne sono state le seguenti: per Michele Senese 30  (difeso dagli avvocati Gaito e Mondello), per Di Salvo ( avvocati Naso e Fiorito) e Pisanelli (avvocati Krogg e De Federicis) anni 16 grazie alla concessione delle attenuanti generiche. La  sentenza era attesissima sia per le nuove questioni giuridiche prospettate in tema di dna,  sia per gli interessi in gioco,  sia per l’attenzione mediatica che sta avendo il processo cd. camorra capitale in cui è sempre pesantemente coinvolto Domenico Pagnozzi. Si è rivelata vincente la scelta fatta da tutti gli imputati di essere giudicati con le forme del rito abbreviato. Adesso si resta in attesa di conoscere le motivazioni della sentenza; in particolare quelle sul tema del dna. Le  tesi giuridiche innovative formulate dall’avvocato Vannetiello certamente verranno riproposte con determinazione innanzi alla Suprema Corte di Cassazione per cercare, dopo l’avvenuta assoluzione di Clemente, di ribaltare anche la condanna per Pagnozzi Domenico,  soprannominato “ il professore” o  “occhi di giaccio” come emerso  nella inchiesta sulla infiltrazione mafiosa nella città di Roma. La vicenda processuale riguarda l’assassinio di Giuseppe Carlino, boss siciliano trasferitosi a Roma, dedito al narcotraffico internazionale, ucciso a  Torvaianica nel settembre 2001. In primo grado furono condannati all’ergastolo il ritenuto mandante (Michele Senese, esponente storico del clan Moccia di Afragola e trasferitosi nella capitale dal 1980) e colui che fu ritenuto essere l’esecutore materiale  (Domenico Pagnozzi, ritenuto essere il capo della cupola esistente nella capitale), mentre furono condannati a 30 anni, Clemente Fiore, Di Salvo Giovanni e Pisanelli Raffaele. Le fonti di prova erano innanzitutto rappresentate dalle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, Riccardi e Carotenuto, i quali si auto-accusano di aver partecipato ai preparativi dell’omicidio. Agli atti vi erano anche le dichiarazioni di altri pentiti (Centore e Massaro) i quali hanno testimoniato in ordine alla stretta alleanza e la mutua assistenza  tra Senese e Pagnozzi, anche in tema di omicidi. Poi le risultanze dei tabulati telefonici  dimostrerebbero i contati frenetici tra i correi nei momenti antecedenti ed immediatamente successivi all’omicidio, mediante l’utilizzo di telefoni che hanno cessato di operare subito dopo la esecuzione. Ma l’elemento di prova più forte che militava a favore dell’accusa era senza dubbio il dna di Pagnozzi Domenico, trovato su un fazzoletto rinvenuto nella macchina che sarebbe stata utilizzata per l’omicidio, prova che sinora è stata ritenuta schiacciante.

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