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18 Marzo 2020 - 16:15
I consigli di Roberta Totaro, psicologa, su come affrontare la solitudine e convivenza forzata con gli altri
L’emergenza Coronavirus cambia le abitudini quotidiane e la vita delle persone ma sottopone innanzitutto la gente a un forte stress psicologico dovuto alla paura per questa epidemia, che affonda le sue radici anche in classiche fobie collettive nei confronti di qualcosa che è invisibile e apparentemente incontrollabile. Quanto c’è di razionale e quanto di inconscio in questa paura verso un evento assolutamente inedito e fuori controllo? Ne parliamo con una professionista napoletana, la dottoressa Roberta Totaro, psicologa e psicoterapeuta sistemico relazionale, criminologa.
«In una società in cui “il correre” e “l’affannarsi” sono diventati il modus vivendi e in cui i mille impegni e gli obiettivi giornalieri da raggiungere rappresentano il nostro pane quotidiano, ci è stato chiesto lo sforzo di cambiare il nostro stile di vita. Ci è stato chiesto di fermarci. Non di rallentare gradualmente, ma di rinunciare in modo repentino a quello che fino al 9 marzo era il nostro “automatico” modo di vivere la vita. Ogni cambiamento necessita di un tempo di accettazione e di elaborazione, richiede fatica e impegno, ma se questo tempo viene azzerato da un effettivo pericolo e dalla necessità di assumerci immediatamente delle responsabilità per il fronteggiamento, le reazioni cambiano da individuo a individuo. Paura, rabbia, ansia, confusione, sospetto, si alternano in ognuno di noi e per non esserne soffocati, bisogna comprenderle e soffermarci su esse. L’essere umano è abitudinario, anche in quelle abitudini che possono rappresentare un danno per se stessi e inoltre c’è da considerare la scarsa motivazione di chi sta bene e pensa che “a lui non possa può succedere”. Tutto questo rende complesso l’accettazione dell’ “IORESTOACASA”. Di fondamentale importanza è il non dimenticare che stiamo vivendo un’esperienza che riguarda l’intera collettività e che non ci consente di dimenticare ciò che con molta abilità cerchiamo di “metter da parte” ogni giorno e da cui ci distraiamo in tutti i modi: le nostre debolezze e il pensiero che siamo essere mortali. Il Coronavirus è, inoltre, un pericolo subdolo, invisibile, minuscolo e, soprattutto, non prevedibile e non controllabile. Caratteristiche che scatenano paura nell’essere umano e che, se non affrontata e contenuta, può sfociare in panico e angoscia».
Quali rimedi o quali consigli si possono dare alle persone per affrontare al meglio questa paura del morbo ed evitare di finire nel panico?
«Avere paura in questo periodo è assolutamente normale e soprattutto una condizione che riguarda ognuno di noi, inoltre è una risposta fondamentale dinanzi ad un pericolo esistente. Se non la provassimo non riusciremmo a mettere in atto quei comportamenti tesi alla tutela dell’altro e alla cura di noi. Quindi ben venga percepire paura, purché ciò ci attivi e non ci faccia avvertire il Coronavirus come un pericoloso mostro inarrestabile e “senza tempo”. In quest’ultimo caso rischiamo di mettere in atto comportamenti irrazionali. Panico ma anche ipocondria, odio verso gli “untori”, rabbia e depressione sono i rischi di una paura non contenuta.
La differenza tra uno stress positivo (eustress) e uno negativo (distress) risiede proprio nella possibilità di utilizzare un’emozione come stato di attivazione, come spinta per mettere in atto quei comportamenti di prevenzione e come stimolo per utilizzare “questo tempo” per fermarci e non per bloccarci. Come ci ricorda l’Ordine degli psicologi, il problema oggettivo del Coronavirus diventa soggettivo quando incontra i vissuti personali, le storie pregresse di ognuno di noi. Non esistono regole, ognuno esprime le emozioni nel suo personalissimo modo d’essere, ma quello che è importante per non vivere momenti di panico è riconoscerle e non farsi sopraffare. Le emozioni si esprimono attraverso i nostri comportamenti, i nostri pensieri e il nostro corpo. Per dare ad ognuna di essa il giusto spazio senza farci fagocitare è importante restare nel presente, occuparci del quotidiano stabilendo alcune “norme contenitive”. Ad esempio è fondamentale non seguire in modo spasmodico le notizie date, ma prefiggersi un orario nell’arco della giornata da dedicare al proprio aggiornamento delle notizie da fonti accertate e sicure. Un lasso di tempo limitato e stabilito in una determinata fascia oraria, per poi concentrarsi su altro. Riflettiamo sulla certezza che contrarre il virus non equivale a morire e che esistono indicazioni pratiche per la prevenzione. Proviamo ad esercitarci a vivere nel “qui e ora” attivando un atteggiamento funzionale al benessere e che promuova resilienza. Possiamo cogliere l’occasione di investire su attività e progetti che la frenesia quotidiana ci aveva fatto lasciare “in sospeso”. Recuperiamo i nostri desideri, magari scrivendo una lista di quelli lasciati nel dimenticatoio. E' ora di aprire i cassetti e di riprenderci i sogni per comprendere come poterli realizzare! Libri iniziati e mai finiti, telefonate a persone pensate e mai fatte, liste di film con “prima o poi li vedrò”, corsi online di approfondimento di passioni. Ecco, recuperiamo le nostre passioni e se sono impossibili da realizzare in casa, utilizziamo questo tempo per riappropriarci di quelle emozione e promettiamoci che saremo leali con esse quando potremmo uscire. Perché questo tempo finirà e questo deve diventare la nostra consapevolezza per assaporare il “fermo immagine”. Fate sport seguendo dei tutorial e prefiggetevi un orario in cui potervi dedicare a esso, ascoltate musica nuova, sperimentate nuove pietanze da condividere con gli amici alla prossima cena che, presto, organizzerete! Fermatevi, ma senza bloccarvi. Ce la possiamo fare».
A questa condizione già di per sé penosa, si aggiunge l’obbligo di restare chiusi in casa per un periodo di tempo indefinito. Innanzitutto ci può essere la sofferenza dovuta all’impossibilità di stare all’aria aperta e di socializzare. Poi ci sono situazioni di convivenza forzata prolungata con i familiari e, al contrario, l’impossibilità di vedere persone a cui si è affettivamente legati (amici, fidanzati, nonni e nipoti). Tutto ciò può produrre un disagio anche grave, che può sfociare in sintomatologie o comportamenti spiacevoli?
«Sicuramente situazioni pregresse caratterizzate da stati d’ansia, rabbia, insonnia e altro, possono amplificarsi in questo momento d’emergenza in cui regna la preoccupazione, la necessità di mantenere “le distanze”, l’incertezza e il repentino cambio di vita. In questo periodo l’individuo deve fare i conti con le restrizioni alla socializzazione, alla libertà di movimento e al contatto diretto con gli affetti. Questo “isolamento” sociale richiede il mantenimento di una profonda lucidità, che ci può dare solo la consapevolezza che si tratta di un periodo limitato di tempo. Bisogna approcciare ad una libertà diversa, che non è quella abituale ma quella che rallenta il tempo consentendoci di riappropriarci di noi stessi. L’isolamento oppure la convivenza forzata, possono sicuramente sfociare in sintomatologie e comportamenti spiacevoli ed è per questo che noi psicologi offriamo la possibilità di consulenze online per sostenere le persone nell’attivazione di risorse utili a fronteggiare questo momento».
Cosa dobbiamo aspettarci dal prolungamento nel tempo di questa condizione di “reclusione” in casa: i disagi psicologici aumenteranno o invece ci abitueremo?
«Gli esseri umani non sono fatti per reggere situazioni di allerta o tensione troppo a lungo, ma nei tempi moderni inconsapevolmente stazioniamo spesso in situazioni stressanti senza compiere lo sforzo per uscirne. Questo è il tempo per avere coraggio, laddove per coraggio si intende “agire con il cuore” e ascoltare i nostri battiti per non arrivare a negarli o a subirli. Negazione o sopraffazione, sono infatti degli scenari possibili. Bisogna concentrarsi sulla possibilità di accettare questa condizione temporanea come possibilità di affrontarla con una giusta dose di resilienza».
Ci sono comportamenti da suggerire alle persone per affrontare al meglio questa situazione di forzata convivenza o, al contrario, di forzato isolamento?
«In una società in cui regna l’utilizzo compulsivo e disfunzionale dei social e della tecnologia, in questo particolare momento possiamo restituirgli l’aspetto sano. I cellulari, Skype, le videochiamate, oggi rappresentano uno strumento valido al fine di evitare il senso di isolamento e solitudine. Molte famiglie, amici, coppie e genitori con i propri figli hanno potuto vivere momenti insieme. “Sentirsi” anche senza toccarsi! E’ un’occasione, che se utilizzata bene, ci farà apprezzare il momento in cui riabbracceremo i nostri cari e se ricordato, magari ci farà spegnere i cellulari quando li avremo accanto. Per quanto riguarda invece le convivenze forzate è importante strutturarsi delle routine il più possibile simili alla vita pre-virus. Rispettarsi negli spazi e avere cura di quelle abitudini che l’altro vuole crearsi, ad esempio, il tempo per la lettura, per lo sport, per un film, per lavorare da casa è fondamentale. In alcune case questo momento può rappresentare l’occasione per sperimentare nuove modalità relazionali, per condividere più tempo con i propri familiari e riscoprirsi in attività troppo spesso tralasciate. Un’occasione per tornare a giocare insieme, per guardarsi negli occhi senza annullare lo spazio dell’altro. Una palestra dell’anima, insomma. Invece, in altre famiglie, in quelle nelle quali è già presente qualche difficoltà, c’è la necessità di imporsi alcune regole di convivenza. Si devono organizzare bene i compiti stabilendo, ad esempio, chi si occupa della spesa, i tempi del lavoro da casa, chi cucina e chi intrattiene i figli mentre l’altro è impegnato. L’anarchia in queste situazioni rischia di sfociare in una bomba ad orologeria».
In particolare, c’è da supporre che bambini e adolescenti possano sentire più di altri il disagio di questa situazione: cosa possiamo consigliare ai genitori per aiutare i propri figli ad affrontare questo periodo difficile?
«I bambini, dopo un periodo di gioia ed entusiasmo per la sospensione del tempo scolastico, inizieranno ad avvertire l’assenza di stimoli come lo sport, il distacco dagli amici e dalle insegnanti, la privazione della possibilità di giocare all’aperto. Inizieranno a porsi maggiori interrogativi ai quali i genitori possono rispondere in modo chiaro e autentico, trovando una formula adatta alla loro età. E’ molto importante spiegare loro le ragioni della chiusura della scuola per impedire, come nel processo di elaborazione dei lutti o nelle separazioni, di sostituire la realtà di un accaduto con paure immotivate, angosce o fantasie colpevolizzanti. Con la chiarezza li si aiuta anche a responsabilizzarsi sulle regole da seguire, ciò può rappresentare un’occasione importante in una società in cui il rispetto delle regole viene annullato dalla paura di dire “no”. Cogliamo l’occasione di questo “pit-stop” forzato, per ritornare a giocare con loro, dando libertà alla fantasia e alla possibilità di riconoscerci meglio in uno spazio e in un tempo maggiormente definito. Cucinare insieme, inventare storie, aiutarli a riconoscere le emozioni, dare spazio alla creatività e non fargli perdere il tempo dello studio che, nello scenario giornaliero, ha l’importanza di non interrompere le sicurezze, sono tra le attività che mi sento maggiormente di consigliare. Mantenere i riti e le abitudini in casa e inventarne delle nuove con loro, è necessario per non fargli vivere questo momento come un’angoscia bensì come una possibilità. Per quanto riguarda gli adolescenti il discorso è ben diverso perché vivono un’età in cui il gruppo dei pari, il partner e lo svago rappresentano la dimensione fondamentale della loro vita. Per stargli accanto, alleviando il disagio della “sosta forzata” è importante aiutarli e sostenerli nel mantenere un contatto con la realtà esterna tramite le videochiamate e la possibilità di sentirsi parte di un gruppo anche se distanti. Per evitare una “full immersion” digitale si possono però organizzare dei tempi in cui si sentano liberi e sostenuti nel dedicarsi a questa attività e dei tempi in cui possano studiare o dedicarsi ad altro. Percepire empatia e rispetto per i propri spazi, in questo momento è fondamentale per tutelare il rapporto genitori-figli e, perché no, per migliorarlo in un periodo di tempesta come quello dell’adolescenza in cui l’unica via di scampo è quella di prenderli per mano e attraversarla insieme».
Che ne sarà di noi dopo il “tempo del Coronavirus”?
«Impegniamoci affinché questo tempo aumenti la consapevolezza dell’importanza della nostra vita attraverso la presa di coscienza della nostra fragilità. Questa pandemia, se vissuta in modo consapevole, ci può aiutare a comprendere che non esistiamo solo noi, ma che siamo esseri umani collegati l’uno all’altro in un sistema in cui ognuno ha effetto sul prossimo. E’ importante il recupero del senso del noi e della reciprocità. Abbiamo la possibilità di ridare il giusto significato al rispetto verso il prossimo, in una società in cui la gentilezza, la cura e l’attenzione all’altro sono stati spesso offuscati dal menefreghismo e dall’assenza di empatia. Quando finirà il tempo del Coronavirus ci occuperemo di riprendere il contatto fisico senza la paura del contagio. I cellulari potranno essere messi da parte per fare spazio agli abbracci, all’ascolto, agli sguardi e alle parole non dette. Chissà, magari se sfruttiamo bene questa possibilità, ci ritroveremo a ringraziare questo virus per averci dato l’opportunità di comprendere chi vogliamo accanto, quanto la tecnologia deve restare al nostro servizio e non il contrario, quanto i nostri figli siano una grande risorsa e quanto il tempo lavorativo sia importante ma pur sempre “un tempo” e non il tutto».
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