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26 Febbraio 2016 - 18:25
L'ex fedelissimo del clan si è pentito nel 2012. Tra le sue rivelazioni: «Giuseppe Polverino è il mandante dell’omicidio di “Peppe tredici anni", che fu commesso da Giuseppe Simioli con un revolver calibro 38 e da Raffaele D’Alterio che guidava lo scooter»
NAPOLI. «Giuseppe Polverino è il mandante dell’omicidio di Giuseppe Candela, che fu commesso da Giuseppe Simioli con un revolver calibro 38 e da Raffaele D’Alterio che guidava lo scooter». Biagio Di Lanno, ex fedelissimo dei Polverino passato poi dalla parte dello Stato, il 23 gennaio 2012 si accusò per la prima volta dell’omicidio di Giuseppe Candela detto “Peppe tredici anni”. Lui ebbe un ruolo di supporto ai due affiliati al clan che entrarono in azione in via Cristoforo Colombo a Marano dopo la terribile frase del boss: «bisogna prendere un provvedimento». La maniera che alcuni ras vecchio stampo usavano per ordinare un omicidio. I componenti del gruppo di fuoco capirono ed eseguirono. Era il 15 luglio 2009. Ecco alcuni passaggi del verbale d’interrogatorio del pentito, con la consueta premessa che le persone citate da Biagio Di Lanno devono essere considerate estranee ai fatti narrati fino a prova contraria.
«Ricordo che Giuseppe Simioli e Raffaele D’Alterio ordinarono a me e a Salvatore Simioli detto “Sciacallo”, un anno prima dell’omicidio di Candela, di acquistare due caschi. Insieme allo “sciacallo” rapinammo uno scooter Honda SH 300 blu nella zona di via Giordano Bruno, di fronte all’abitazione di Raffaele D’Alterio. In questo garage e in altri custodivamo i veicoli rubati, da utilizzare in azioni di fuoco. Unitamente allo “sciacallo” acquistai due caschi integrali blu con la visiera scura». «L’omicidio di Candella fu commesso da Giuseppe Simioli, che ha utilizzato un revolver calibro 38 poi da lui stesso nascosto, e da Raffaele D’Alterio che conduceva lo scooter. I
l giorno dopo, io ho dato fuoco in via Pendine Casalanno lo scooter usato per l’agguato. Voglio anche aggiungere che mezz’ora prima dell’omicidio, mentre mi trovavo sul corso Mediterraneo, fui raggiunto da Salvatore Cammarota che mi chiese le chiavi dello scooter poi utilizzato nell’omicidio. Essendo io il responsabile del garage in cui nascondevamo i veicoli rubati e avendo io la disponibilità delle chiavi, quando Cammarota me le chiese capii subito che si trattava di qualcosa di importante da fare. Ho accennato al fatto che lo scooter fu rubato un anno prima in quanto l’uccisione di Candela era stata decretata già da tempo. L’omicidio era motivato dal fatto che si era allontanato dal clan e che faceva uso di cocaina. La sera successiva mi sono incontrato a Quarto con Giuseppe Simioli, Salvatore Liccardi, Fabio D’Agostino e Giuseppe Di Mauro. In quell’occasione Simioli mi ha raccontato nel dettaglio l’esecuzione, rappresentandomi le sue preoccupazioni in considerazione del fatto che la zona in cui l’omicidio era stato commesso era pieno di telecamere collocate nei pressi di banche. In quella stessa sera Giuseppe Simioli diede incarico a Fabio D’Agostino di recarsi presso la sua abitazione a prelevare un cambio, rimanendo nascosto in compagnia di Giuseppe Polverino».
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