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06 Luglio 2020 - 13:46
Scissioni a suon di piombo e sangue, ma anche vendette trasversali (più o meno consumate) e i fiumi di droga che negli ultimi anni hanno attraversato il rione Traiano e non solo. Sono questi i tre aspetti principali sui quali ha fin qui fatti luce l’ex boss del clan Cutolo, Gennaro Carra, diventato collaboratore di giustizia nell’agosto del 2019 e i cui primi verbali sono stati pubblicati dal “Roma” in anteprima nei giorni scorsi. Di seguito riproponiamo quindi un ampio resoconto delle rivelazioni fornite dall’ex ras della “44” di via Catone.
Il collaboratore di giustizia ha innanzitutto ricostruito le fasi iniziali della sanguinosa scissione che nell’estate del 2016 ha riempito di sangue e piombo le strade di Soccavo. Sul punto, ecco quanto affermato da Genni Carra il 12 novembre scorso: «Salvatore Basile ha partecipato a una scissione dal clan Puccinelli-Petrone. Con Gennaro Cozzolino, Salvatore Lazzaro “Lulù”, Emanuele Manauro, Benni Ivone, Gianluca Orfeo, Dario Vicedomini e altri giovani sempre pronti a sparare, costituiva un gruppo di fedelissimi di Salvatore Petrone». Una volta indicati i protagonisti della vicenda, Carra entra nel merito della questione ricostruendo l’episodio che innescò la guerra: «Una sera, mentre ero con Lazzaro, Manauro, Cozzolino e Basile “cozzecanera” da “Agostino”, un chiosco che si trova di fronte allo “Chalet Delle Rose” a Mergellina, arrivò Francesco Petrone in auto e iniziò a inveire contro di loro dicendogli che invece di perdere tempo dovevano andare a lavorare nelle piazze di spaccio. Io mi trattenni con Petrone cercando di calmarlo e dicendogli che erano ragazzi validi e non andavano tratti in quel modo. I quattro invece andarono via subito con una Honda “Transalp” e un “T-Max”. Capii subito che avevano brutte intenzioni». Stando a quanto riferito da Carra e ferma restando la presunzione di innocenza fino a prova contraria di tutti i soggetti citati, nel giro di appena 24 ore i ribelli della “44” si organizzarono per mettere a ferro e a fuoco il quartiere: «Lazzaro - ha spiegato il neo pentito - decise la scissione, come appresi il giorno dopo andando a casa di Gennaro Cesi nel rione Ises. Quest’ultimo mi aveva mandato a chiamare. Io invitai i presenti a mantenere la calma perchО non volevo guerre nel rione Traiano». Ma i “girati” avevano ormai deciso che strada intraprendere, tanto che si erano già procurati un vero e proprio arsenale da guerra per riuscire a mettere alla corde l’egemone clan Puccinelli-Petrone. La nuova faida di Soccavo poteva avere inizio.
Pentitosi nell’agosto dello scorso anno, Carra ha fornito agli inquirenti della Dda innumerevoli retroscena in merito ad alcuni gravi fatti di sangue, tra cui la scissione compiuta dal gruppo di Salvatore Basile, distaccatosi nel 2016 dal cartello Puccinelli-Petrone. Ma Carra, noto alle cronache giudiziarie anche per essere il genero capoclan Salvatore Cutolo, ha fornito soprattutto una lunga serie di riferimenti, nomi e cognomi in ordine al vero core business della camorra del rione Traiano: lo spaccio di droga. Sul punto, incalzato dalle domande del pubblico ministero Francesco De Falco, il collaboratore di giustizia ha puntato il dito senza esitazione contro una persona in particolare: «Peppe Mazzaccaro, il capo dell’attuale clan Sorianiello, è lui che decide il mercato della cocaina ancora oggi. Era lui a rifornire sia noi che il clan Puccinelli di cocaina e marijuana». Mazzaccaro, alias “Peppe della novantanove”, è del resto da tempo un volto noto ai database delle forze dell’ordine. Zio del defunto Fortunato Sorianiello, ucciso in un agguato di camorra nel febbraio del 2014, è più volte finito in manette per reati di droga, ma fino ad oggi nessun collaboratore di giustizia lo aveva mai inquadrato con tanta fermezza al vertice dell’organizzazione con base alla “99” di Soccavo. Carra, affiliato ai Cutolo fin dal 2007, ha dunque ricostruito con dovizia di particolari la natura degli accordi “commerciali” in essere tra i due gruppi di mala: «Abbiamo iniziato il rapporto con Mazzaccaro nel 2015, perchè prima facevamo riferimento ad altri narcotrafficanti, ancora più potenti di lui, in particolare con tale Mario Cerrone e con Raffaele Imperiale (il broker da anni latitante a Dubai, ndr). Mazzaccaro ci riforniva di quattro, cinque pacchi di cocaina mensili e i tre capi gestivano le piazza di spaccio al rione Traiano e anche i privati. A gestirle eravamo io, Vincenzo Cutolo e Francesco Pietroluongo. Noi compravamo la droga da Mazzaccaro e poi la davamo alle piazze di spaccio che facevano riferimento al clan Cutolo». Un sistema piramidale, dunque, al vertice del quale si sarebbero trovati proprio Carra, il cognato e Pietroluongo. Sullo sfondo, invece, il ruolo “super partes” del broker Mazzaccaro, comunque da ritenere innocente almeno fino a prova contraria. Sempre in tema di narcotraffico il neo pentito ha poi tirato in ballo un altro emergente ras: «Anche Bruno Annunziata aveva un ruolo in questo rapporto. Era l’anello di congiunzione, mandavamo lui a prendere la cocaina di Mazzaccaro».
«Salvatore Basile, Gennaro Cozzolino, Salvatore Lazzaro, Emanuele Manauro e Gianluca Orfeo erano il gruppo di fuoco del clan Puccinelli», ha subito messo in chiaro Carra entrando poi nel merito dello scontro tra le due fazioni: «Prima gestivano le piazze di spaccio del clan Puccinelli, poi nel 2016 si sono scissi per vari fattori. Loro era fedelissimi di Salvatore Petrone, il figlio di Francesco Petrone. Inizialmente avevano delle lamentele riguardo alla retribuzione, perché Francesco Petrone non gliene dava più una adeguata». Insomma, una questione di soldi e potere: «Loro - ha spiegato l’ex ras Carra - prima prendevano una percentuale sulle piazze di cui erano i gestori. Un giorno Francesco Petrone si prese tutti i soldi e poi loro si sono anche accorti che il figlio di Gennaro Cozzolino, che ha sei anni, volevano fare finta di portarlo a fare un giro e lo volevano fare cadere con la testa a terra. Di questa cosa loro se ne sono accorti, volevano fare una cosa inaudita». Genni Carra, nel riportare l’episodio, non ha quindi nascosto un certo sgomento: «Io non riesco a capire come Gennaro Cozzolino possa ancora difendere queste persone e stare dall’altra parte. Gli volevano fare un torto inspiegabile». Un resoconto da brividi, che Carra potrebbe essere presto chiamato ad approfondire ulteriormente. Sul punto è però doverosa una precisazione: la famiglia Petrone, tramite il proprio avvocato, ha fatto sapere di non avere nulla a che fare con quella storia. Gli scissionisti del rione Traiano, così come il capoclan Francesco Petrone “’o nano”, che però si trova attualmente ai domiciliari per problemi di salute, stanno già scontando delle condanne di assoluta consistenza, ma non è da escludere che, proprio sulla scorta delle rivelazioni di Carra, siano in futuro aperti ulteriori, nuovi procedimenti. Lo stesso collaboratore di giustizia ha del resto affermato senza mezzi termini di conoscere più che bene i ras del cartello Puccinelli-Petrone: «Avevamo rapporti giornalieri e ci siamo, come si suol dire, spartiti le zone, cioè le piazze di spaccio, al cinquanta per cento».
L’ultima rivelazione di Gennaro Carra, ex numero due del clan Cutolo della “44” del rione Traiano, fornisce dunque un clamoroso ribaltamento di prospettiva rispetto a quanto fin qui accertato dalle indagini. Francesco Minichini, noto esponente del clan Marfella di Pianura, il 15 gennaio 2013 fu raggiunto da una raffica di colpi di pistola mentre si trovava in auto: alcuni dei proiettili lo ferirono gravemente alle gambe, ma la vittima riuscì comunque a scampare alla morte. Poco più di un anno fa l’inchiesta arrivò al punto di svolta: in manette finirono infatti Gennaro Carra e il socio narcos Bruno Annunziata. Caso chiuso, dunque? Neanche per sogno. E il perché è presto detto: «Fin dal mio primo interrogatorio - ha spiegato Carra - ho chiarito subito la posizione di Bruno Annunziata, che era estraneo ai fatti. Il tentato omicidio l’ho commesso con Fabio Annunziata e non con Bruno». Parole di fuoco e da trattare con estrema cautela, in attesa che le nuove indagini facciano luce su quanto sostenuto dal collaboratore di giustizia. Nel corso dell’interrogatorio Gennaro Carra ha comunque dimostrato di conoscere molto bene l’“argomento”, fornendo un’ulteriore serie di dettagli e circostanze. A partire dal movente che ha innescato l’agguato: «Noi subimmo un agguato da parte di queste persone mentre ci trovavamo sotto al porticato. A quel punto di mettemmo sul motorino con Fabio Annunziata e incrociammo Minichini. La nostra intenzione non era però quella di ucciderlo, perché sennò gli avrei sparato in testa». Insomma, doveva solo un “avvertimento” o poco più: «Gli abbiamo sparato, diciamo, alle parti basse», ha poi ribadito il pentito Carra incalzato dagli interrogativi del pm.
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