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L’ex ras: «Per gli omicidi usavo due kalashnikov e tre pistole»

L’ex ras: «Per gli omicidi usavo due kalashnikov e tre pistole»

NAPOLI. “Chist è nu buon guaglione”. Una frase che abitualmente è utilizzata per definire un giovane che non dà problemi in famiglia, non si droga e magari va anche bene a scuola. Invece nel gergo della malavita, ed è un inquietante spaccato di camorra che emerge dalle pagine dei verbali d’interrogatorio del pentito Michele Puzio, la frase significa tutt’altro. Come dimostra la spiegazione che diede, secondo la ricostruzione del neo collaboratore di giustizia, Vincenzo Raucci detto “Enzuccio ’o minorenne” a Luigi Moccia: «il ragazzo sta già facendo estorsioni ad Arzano e sta andando bene». «Giggino Moccia mi diede un pizzicotto sulla guancia e disse: “mi fa piacere”», ha raccontato Puzio ai pm della Dda.

IL PERSONAGGIO. La storia camorristica di Michele Puzio, le cui dichiarazioni potrebbero provocare un terremoto nel clan Moccia e tra gli alleati di Napoli e provincia, è iniziata nel 1998 all’età di 35 anni. Ecco alcuni passaggi dell’interrogatorio del 6 febbraio scorso, con la consueta premessa che le persone citate devono essere ritenute estranee ai fatti narrati fino a prova contraria, a partire dall’ammissione di colpevole circa la disponibilità di due fucili kalashnikov e tre pistole.

LE DICHIARAZIONI. “Mi servivano per compiere gli omicidi e li affidavo a un ragazzo che si chiama………(omissis) e abita ad Afragola. All’occorrenza andavamo insieme a fare gli appostamenti. Mi feci consegnare le armi nel 2008 e le ho sempre tenute io”. “Sono entrato nel clan Moccia nel 1998 tramite Salvatore Scafuto. Un soggetto di nome………(omissis) mi presentò a lui come un ragazzo sveglio e coraggioso. Scafuto mi disse che mi avrebbe fatto sapere. Quindi ho iniziato a fare estorsioni ad Arzano insieme a “Tonino ca punto”, Gioacchino “o’ nasone” ovvero Gioacchino De Rosa e “Francuccio o’ muscio” ovvero Anselmo di cui non ricordo il cognome, mio coimputato nel processo Abbate. Il referente dell’epoca era Francesco Favella, che prendeva le “imbasciate” da Antonio Moccia e da Filippo Iazzetta. E lui poi dava le direttive a suo cognato Giuseppe Orlando che mandava noi soldati a chiedere le estorsioni sui territori di competenza del clan. I proventi confluivano tutti nella cassa del clan, che teneva Favella, e venivano utilizzati per pagare gli stipendi dei sodali, i carcerati e gli avvocati”. Altra caratteristica del clan Moccia all’epoca, secondo Michele Puzio, era il netto distacco tra i capi e gli affiliati semplici. “Noi soldati non potevamo parlare con i vertici del clan, con i quali parlavano soltanto i referenti apicali. Tra questi ultimi c’era “Enzuccio o’ minorenne”, cioè Vincenzo Raucci, il quale per prendere appuntamento con i vertici del clan mandava il suo braccio destro, tale……(omissis). Io facevo parte del gruppo di Afragola, ma ci potevamo spostare anche ad Arzano e a Casoria per fare estorsioni: erano quelli infatti i territori che gestivamo. Su Afragola stava Favella, ad Arzano stava Orlando e a Casoria all’epoca il referente era Mauro Franzese”. Segue sul “Roma” di domani

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