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Napoli, «su 700 palazzi storici il 50% va in pezzi»

Napoli, «su 700 palazzi storici il 50% va in pezzi»

NAPOLI. Rigeneriamo il nostro patrimonio edilizio con l’apporto dei Recovery Fund. La proposta di Andrea Esposito, presidente Unitel (Unione Nazionale Tecnici Enti Locali) Regione Campania, è in linea con una situazione catastrofica dei fabbricati napoletani. Ingegnere lei è l’autore del testo “Perché i fabbricati di Napoli si dissestano”.

Ci spiega perché i fabbricati di Napoli versano in così gravi condizioni di degrado?

«La risposta è molto semplice: i fabbricati sono in pessime condizioni manutentive per l’incuria degli uomini. La responsabilità è di tutti noi, di noi tecnici ma anche della classe politica, dei cittadini e degli amministratori dei fabbricati, degli ordini professionali. Nessuno potrà al prossimo crollo, voragine o dissesto dichiarare di non avere una parte di responsabilità di quanto accade ogni giorno nella nostra città».

Nel suo libro si vuole far comprendere che è il momento di dedicare maggiore attenzione alla sicurezza del proprio fabbricato. Come?

«In questi ultimi anni è stata data una cattiva informazione ai cittadini in merito ai necessari lavori manutentivi ai fabbricati. Dalle disposizioni legislative si è rappresentata una urgente e indifferibile necessità di interventi rappresentate dalle norme di risanamento energetico dei fabbricati e di carattere sismico (Ecobonus e sismabonus). Nonostante tali incentivi (per ecobonus e sismabonus al 65% oggi al 110% e fino al 90 % per le sole facciate) i fabbricati di Napoli continuano a sopravvivere in una pietosa condizione. Occorre fare chiarezza, altrimenti prendiamo solo in giro i cittadini. Dopo 40 anni di attività professionale il mio convincimento tecnico è che i fabbricati di Napoli siano destinati a dissestarsi e, purtroppo, a crollare per l’incuria degli uomini, come dimostrano gli eventi che si susseguono ormai quotidianamente e di cui è effettivamente a conoscenza solo il Servizio Sicurezza Abitativa del Comune di Napoli che quotidianamente è chiamato a verificare lesioni ai fabbricati, dissesti e crolli».

Siamo in presenza di un piccolo terremoto?

«Che non ha nulla a che fare con le forze della natura, ma che è dovuto all’assenza di una cultura della conservazione dei fabbricati. Gli uomini pretendono che i fabbricati abbiano vita eterna, senza intervenire con le necessarie opere sia di manutenzione ordinaria che straordinaria. E’ la carenza di interventi manutentivi che genera l’esigenza di lavori straordinari. Tale esigenza viene spesso trascurata e si arriva in breve a danni statici alle strutture portanti dei fabbricati e quindi al dissesto, all’inagibilità, e finanche al crollo del fabbricato».

Come fa ad affermare che è la sola incuria la causa dei dissesti?

«Tutti parlano degli interventi di adeguamento sismico, di interventi di miglioramento sismico, di ecobonus e sismabonus, nessuno parla di una salutare e naturale manutenzione degli edifici i quali, man mano che invecchiano, hanno bisogno solo di una semplice revisione. La mancata manutenzione ordinaria condurrà nel breve periodo a necessari interventi di manutenzione straordinaria e la mancata manutenzione straordinaria conduce quasi sempre le strutture portanti dei fabbricati ai dissesti di carattere statico e quindi alle parziali o totali inagibilità».

Questa è la motivazione del suo studio che in sostanza è lo studio di fattibilità per il Risanamento dei fabbricati di Napoli?

«Presenteremo un unico grande progetto di recupero e risanamento dei fabbricati di Napoli che potrà essere finanziato con il supporto dei Recovery Fund e con gli attuali incentivi di scarico fiscale sul modello del “vecchio progetto Sirena” poi inspiegabilmente abbandonato. L’Unitel, che rappresento, supporta in vario modo, ma vi è necessità anche degli apparati tecnici della Regione. Questa iniziativa può rappresentare il punto di attacco di una nuova strategia per Napoli perché l’insieme degli interventi di risanamento e restauro dei fabbricati non è incompatibile con una visione generale di pianificazione del territorio. Bisogna fermare politiche contraddittorie o, peggio, nessuna politica, con il risultato che il tutto viene lasciato all’abusivismo e al degrado».

Ma, ingegnere, come crede che si potrà gestire tutto questo?

«Questo programma sarà gestito da una apposita “Fondazione per il risanamento dei fabbricati di Napoli”, una struttura operativa, responsabile dei tempi e dei costi, che garantisca il coinvolgimento delle professionalità locali e l’utilizzo della piccola e media impresa. Questo progetto prevede di intervenire su circa 10mila fabbricati».

Ma economicamente?

«Si tratta di affrontare insieme ed in supporto alle strutture Comunali e Regionali i problemi di carattere economico-finanziario, giuridico - amministrativo e sociale, che hanno sempre rappresentato le maggiori difficoltà per la rigenerazione del patrimonio edilizio cittadino. Siamo in presenza di un’iniziativa di recupero che il Comune e la Regione devono incentivare con opportune facilitazioni. Agli incentivi devono essere aggiunti agevolazioni nel rilascio dei titoli autorizzativi ed esoneri per gabelle e tasse». 

Nel suo libro afferma che il restauro dei fabbricati di Napoli è condizione unica per la crescita e l’occupazione. In che senso?

«Per rappresentare la obbligatorietà dell’intervento per la salvaguardia del nostro patrimonio edilizio occorre domandarsi cosa rappresenta Napoli nel mondo e perché dobbiamo tutelarne il patrimonio. In sintesi la carta Unesco dice che Napoli è una delle più antiche città d’Europa, qui è nata e si è sviluppata una cultura unica al mondo che diffonde valori universali per un pacifico dialogo tra i popoli. Senza dimenticare che il suo centro storico inserito nel 1995 nella lista del Patrimonio Mondiale Unesco appartiene all’Umanità intera. A supporto c’è l’articolo 9 della Costituzione che tutela il patrimonio e il paesaggio della nazione per il loro valore culturale. Il patrimonio edilizio di Napoli in questi ultimi decenni ha anche acquisito un crescente valore economico con il turismo diventato fenomeno di massa. Queste risorse possono essere il volano per la risoluzione della gravi crisi economica nazionale. La rigenerazione dei fabbricati di Napoli, oltre che attrattore di turismo crescente e qualificato, diviene di fatto promotore di un diffuso indotto nei settori della ristorazione, del commercio, dell’artigianato, dell’industria alberghiera, con le rispettive possibilità occupazionali e maggiore gettito per l’erario».

Quindi conservare il patrimonio immobiliare per creare economia?

«Occorre ovviamente attrarre investimenti, senza i quali non si attiva la crescita, né si fa quella occupazione di cui Napoli e la Campania hanno disperato bisogno».

Secondo lei ingegnere come bisogna attrarre gli investimenti e chi deve provvedervi?

«Il Governo italiano, in base alla convenzione Unesco, si è obbligato ad assicurare ai siti, per i quali ha ottenuto il riconoscimento, gli interventi di conservazione e di valorizzazione. La convenzione Unesco riconosce che è sua primaria incombenza l’identificazione, la tutela, la conservazione, la valorizzazione e la trasmissione alle generazioni future del patrimonio mondiale. E il Consiglio d’Europa aggiunge che ciascuno Stato è impegnato ad adottare le misure fiscali idonee a assicurare la conservazione di questo patrimonio; e ad incentivare le iniziative private intese a salvaguardare la manutenzione e il restauro di tale patrimonio. Gli interventi di valorizzazione possono essere addossati alle amministrazioni locali. Gli incentivi di conservazione, oltremodo impegnativi, di consolidamento statico, devono essere finanziati dal Governo».

Napoli necessita di questi interventi?

«Napoli presenta un patrimonio edilizio che in termini tecnici può definirsi in totale disfacimento per incuria e carenza di cultura della manutenzione. Nel 2011 il Soprintendente ai beni monumentali affermava che la situazione drammatica del centro storico di Napoli era evidente e su 700 palazzi storici almeno il 50% aveva bisogno di interventi di restauro e ripristino urgenti e poco più del 10% aveva problemi seri con rischi di distaccamento di intonaci o addirittura crolli».

Ad oggi la situazione è peggiore?

«Nonostante tanti proclami nulla è stato fatto e occorrerebbe avere almeno una conoscenza completa del tessuto edilizio cittadino. Oggi sussistono i presupposti di un riscatto immediato per il recupero del patrimonio cittadino. Utilizzare i Recovery Fund per incentivare il recupero edilizio è compito doveroso del sindaco di Napoli, quale rappresentante della città e custode di questo patrimonio. Ma è anche impegno dei ministri napoletani, dei parlamentari napoletani, del consiglio comunale rivendicare la misura che noi abbiamo proposto. Va rivendicata perché doverosa, perché può rilanciare l’economia partenopea».

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