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28 Aprile 2016 - 17:16
La donna del boss e "regina" di Marcianise, difesa dall'avvocato Dario Vannetiello, è tornata a casa
MARCIANISE. La Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli aveva ipotizzato che, dopo l’entrata in carcere dello storico capo clan Belforte Domenico avvenuta nel settembre 1998, le redini dell’inossidabile gruppo marcianisano fossero state assunte dalla moglie di costui, Maria Buttone. La sentenza di primo grado si concluse con la piena condivisione di tale ricostruzione. Infatti, in data 19.07.14, il G.u.p. presso il Tribunale di Napoli dott.ssa Ferri condannò la Buttone alla pena di anni 12 di reclusione quale direttore ed organizzatore della cosca. Iniziato il processo di appello innanzi alla prima sezione penale della Corte partenopea, l’avvocato Dario Vannetiello chiese con determinazione ed ottenne l’astensione del collegio giudicante in quanto riuscì a dimostrare la esistenza di una ragione di pregiudizio nei confronti della imputata. Ciò determinò la separazione della posizione della Buttone da quella dei numerosi altri affiliati al clan Belforte. Il processo fu assegnato alla IV sezione della Corte di appello di Napoli, la quale escluse la aggravante dell’essere la Buttone capo del sodalizio e ridusse la pena ad anni 8 di reclusione. Grazie a questo importante risultato, dopo pochi mesi, Buttone Maria ottenne la revoca del regime di cui all’art. 41 bis O.P., con decisione emessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Ma il colpo di scena avviene in cassazione il 4 marzo 2016. La Suprema Corte - I sezione penale - in accoglimento dei motivi di ricorso scritti dall’unico difensore della Buttone, l’avvocato Dario Vannetiello del Foro di Napoli, ha annullato la sentenza di condanna ad anni 8, disponendo un nuovo giudizio innanzi a diversa sezione della Corte di Appello di Napoli. Condivisa dai Giudici di legittimità una ben precisa tesi giuridica portata avanti sin dal primo grado di giudizio dalla difesa: allargare il periodo di appartenenza di un soggetto ad una associazione camorristica equivale ad una vera e propria modifica della imputazione e non può essere ritenuta una mera correzione della imputazione, come viceversa era stato sino a ieri ritenuto. Inoltre, la Corte di Cassazione ha anche condiviso i motivi di ricorso relativi alla misura della pena, afferenti alla continuazione con altro reato separatamente giudicato nonché alla applicabilità del più mite trattamento sanzionatorio anteriore all’inasprimento della pena avvenuto nel 2008 nonostante la perdurante operatività del clan Belforte sino al 19.07.13, data della sentenza di primo grado. Facendo forza sull’ottenuto annullamento della sentenza di condanna, e prima dell’inizio del nuovo giudizio di appello, la difesa ha pochi giorni fa ha chiesto la scarcerazione alla Corte di appello. Cosi arriviamo ad oggi, con l’ennesimo successo della difesa. Nonostante la ordinanza di custodia cautelare fosse afferente al gravissimo reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, la Corte ha accolto la richiesta di scarcerazione disponendo che la Buttone potesse lasciare le patrie galere ed essere sottoposta solo agli arresti domiciliari durante il corso del nuovo giudizio di appello. Tale decisione giunge in un particolare periodo storico del clan Belforte. Come è noto, da un lato, Belforte Salvatore da alcuni mesi ha iniziato la collaborazione con la giustizia, dall’altro, tale scelta non è stata seguita da Belforte Domenico - difeso anche lui dall’avvocato Vannetiello - il quale continua a lottare nella aule giudiziarie, come avvenuto nel processo dell’omicidio di Menditti Alessandro, dove è stato assolto nonostante la richiesta di condanna all’ergastolo.
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