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07 Settembre 2020 - 12:35
La denuncia del pentito: «Abbandonato dallo Stato dopo 30 processi»
NAPOLI. «Sarò costretto a tornare a vivere a Napoli e mi uccideranno. I clan contro i cui uomini ho testimoniato me l’hanno giurata e so che non mi risparmieranno. Spero che non se la prendano con i miei congiunti, anche se i familiari presero le distanze da me non appena decisi di pentirmi. Io chiedo solo che mi venga data una possibilità; ma appena dico che sono un collaboratore di giustizia, e non posso tacerlo, nessun proprietario di casa mi concede l’affitto o vende l’appartamento. Lo Stato paga in ritardo e nessuno vuole problemi».
Carmine Martusciello, collaboratore di giustizia dei Quartieri Spagnoli che era legato ai Di Biasi Mazzarella e prima ancora ai Gionta di Torre Annunziata, lancia dalle colonne del “Roma” un Sos alle istituzioni: «Mi sento abbandonato, lo Stato non mi ha tutelato e ora sono costretto a tornare a Napoli, ai Quartieri Spagnoli perché non ho la possibilità economica di andare altrove, con la certezza di essere ammazzato. Io con gli affiliati ai clan ho litigato in aula e so che me la faranno pagare».
Il collaboratore di giustizia ha testimoniato in oltre trenta processi e ha già scontato diciassette dei trenta anni di pena che gli sono stati inflitti. Vorrebbe continuare a vivere lontano da Napoli, ma tiene a sottolineare che non gli è possibile: «Sono andato anche da un sacerdote, ma ho ricevuto le stesse risposte delle altre persone. In qualche posto devo pur abitare e quindi sono costretto a tornare ai Quartieri Spagnoli. Già mi è andata bene una volta, quando sono andato a Napoli per i funerali di mio fratello. Difficile che una seconda volta mi vada bene allo stesso modo».
Carmine Martusciello ha 43 anni, di cui quasi la metà trascorsi in carcere. Grazie a lui, reo confesso in diversi delitti, i clan Di Biasi, i loro alleati Mazzarella sui Quartieri e i Gionta hanno subito duri colpi giudiziari: «Mi sono rovinato a 14 anni e se tornassi indietro non farei nessuna delle scelte che feci. Ma ora sono un altro uomo. Da due mesi sono uscito e sto cercando lavoro. Nel frattempo, su invito della magistratura, ho partecipato a degli incontri sulla criminalità organizzata in cui ho spiegato, a modo mio perché non sono andato a scuola, cos’è e quali sono i danni che produce la camorra nella società».
Il primo omicidio di cui ha parlato risale a 14 anni fa. Raffaele Esposito, legato ai “Faiano”, fu vittima dell’agguato nella notte del 23 settembre 2006. Agli investigatori, prima di perdere conoscenza, riuscì a dire che era in sella a una Honda quando in via Pellegrini gli si affiancò un’altra motocicletta con due uomini, uno dei quali aveva estratto una pistola facendo fuoco più volte. Il giovane restò a lungo in ospedale, ma morì il 19 dicembre successivo senza aver potuto raccontare altro. Fu però subito chiaro agli investigatori che si era trattato di una epurazione interna al clan Di Biasi, come poi è emerso nel corso del processo a carico dei presunti responsabili: Carmine Martusciello e Vincenzo Gallozzi. Il primo, reo confesso, tirò in ballo il secondo.
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