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05 Ottobre 2020 - 12:33
NAPOLI. Un buco di circa cinque ore destinato a inghiottire tutta la disperazione e la rabbia dei familiari di Luigi Caiafa, il ragazzino di 17 anni che ha perso la vita ieri mattina dopo un conflitto a fuoco con la polizia. «Com’è possibile che mia figlio sia morto alle 4,30 e fino alle dieci nessuno sia degnato di comunicarci qualcosa? Perché non siamo stati informati? Abbiamo capito che era successo qualcosa di grave soltanto quando abbiamo visto il motorino imbrattato di sangue parcheggiato fuori alla questura». I familiari del babyrapinatore freddato in via Duomo non riescono a darsi pace: «L’unica cosa che adesso ci interessa è capire come siano andate le cose. Chiediamo giustizia, ma prima ancora verità su quello che è accaduto».
Dalla piccola abitazione di via Sedil Capuano, dove i Caiafa, storicamente radicati ai Quartieri Spagnoli, si erano trasferiti da qualche anno fuoriescono urla disumane. I genitori e i più stretti congiunti del ragazzino ucciso non riescono a darsi pace: «In questo momento non hanno ancora ricevuto neppure il certificato di morte», osserva l’avvocato Giuseppe De Gregorio, il penalista che da sempre assiste la famiglia Caiafa. In passato ha difeso il padre Ciro, 40enne, attualmente ristretto agli arresti domiciliari per furto e a più riprese accostato alle attività criminali del clan Terracciano-Mazzanti, tanto da essere inquadrato come uno dei capizona: «Si tratta soltanto di vecchi sospetti. Del resto, mi preme precisarlo, Ciro Caiafa non è mai stato condannato e neppure processato per fatti di camorra», mette subito in chiaro l’avvocato De Gregorio.
Di certo c’è che il 40enne ha ancora oggi alle spalle una parentela piuttosto ingombrante: è infatti il cognato di Francesco Mazzanti, presunto uomo di punta dell’omonimo gruppo della mala dei Quartieri Spagnoli. Tornando invece ai fatti della scorsa notte, se è vero che la vicenda è ancora in piena fase di ricostruzione, i parenti della giovanissima vittima sembrano già intavolare i primi dubbi: «Se il ragazzo è morto subito - ragiona il penalista De Gregorio - perché i genitori non sono stati informati già nell’immediatezza dei fatti, ma hanno dovuto scoprire da soli l’accaduto soltanto intorno alle successive dieci meno un quarto? Questo vuoto temporale non depone a favore a nessuno. Ad ogni modo in questa fase iniziale delle indagini non ci interessa lanciare alcun atto di accusa, ma chiediamo che sia fatta la massima chiarezza sulla dinamica dei fatti, a partire dagli accertamenti balistici».
«Era stato nella nostra comunità per minori di Torre Annunziata per un anno e mezzo, fino al 7 luglio, prima in misura cautelare e poi per la messa alla prova. Leggere commenti agli articoli fa rabbrividire, ma forse alcuni anche legittimi. Ma Luigi non era solo un ragazzo che alle 4 di notte ha tentato una rapina impugnando una pistola. Lo ricordo quando con tanto sacrificio volle imparare il mestiere del pizzaiolo, lo ricordo quando durante i mesi di lockdown, per tre giorni a settimana, insieme ad altri ragazzi preparava le pizze da portare a famiglie disagiate, lo ricordo piangere perché in quei mesi non poteva vedere la sua famiglia. Ricordo come ci rimasi male quando il mese scorso entrai nella pizzeria dove lavoravi e mi dissero che eri andato via prima quel giorno ed eri assente», è invece il ricordo di don Antonio Carbone.
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