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18 Ottobre 2020 - 09:31
NAPOLI. Un giudizio di primo grado, decine di intercettazioni telefoniche e ambientali, oltre alle rivelazioni di ben cinque pentiti, non bastati a stabilire al di là di ogni ragionevole dubbio il vero movente del clamoroso raid di piazza Nazionale, l’agguato che un anno e mezzo fa era quasi costato la vita alla piccola Noemi. Se è vero infatti che i fratelli Armando e Antonio Del Re, condannati a luglio rispettivamente a 18 e 14 anni di reclusione, sono stati inquadrati come gli esecutori materiali del tentato omicidio di Salvatore Nurcaro, oltre che del ferimento della bimba e della nonna di quest’ultima, ad oggi inquirenti e investigatori non sono ancora riusciti a mettere a fuoco la ragione che ha armato le mani dei killer delle Case Nuove.
QUATTRO PISTE. L’inedita circostanza emerge della lettura delle motivazioni della sentenza di condanna depositate pochi giorni fa. Il giudice di primo grado - il processo è stato celebrato con il rito abbreviato - analizzando l’ipotetica aggravante della finalità mafiosa del delitto, mette nero su bianco «che non sono ancora dissipati i dubbi sull’effettivo movente del tentato omicidio, il che impedisce di ravvisare con certezza la volontà dei Del Re di agevolare le attività criminose del clan Formicola». Certo, questo nulla toglie ai comprovati rapporti preesistenti tra Nurcaro e il clan Reale del rione Pazzigno da un lato, e tre i Del Re, Armando in particolare, e il ras dei Formicola Antonio Marigliano “’o silano” dall’altro. Sul punto, il giudice mette però in evidenza una pesante zona d’ombra: «I familiari - si legge nella sentenza del gup Caputo - conoscono l’effettiva ragione dell’agguato, formulando nel corso delle conversazioni intercettate ipotesi alternative tutte astrattamente plausibili». Ecco dunque l’elenco degli ipotetici moventi: «La vendetta per un’aggressione subita da Stanislao Marigliano, figlio di Antonio, la rottura del rapporto con Tonia Monti (ex compagna di Nurcaro imparentata con i Formicola, ndr) e le pretese economiche della donna; l’esistenza di un debito personale di Nurcaro verso Armando Del Re dovuto a questioni inerenti una fornitura di sostanza stupefacente; lo svolgimento di attività criminose inerenti al blocco delle piazze di spaccio e la raccolta di tangenti estorsive da parte di coloro che gestivano le piazze di spaccio».
GIALLO INFINITO. Un ragionamento, quello espresso dal giudice di primo grado, che nel corso del rito abbreviato già la difesa (rappresentata dai penalisti Leopoldo Perone, Claudio Davino e Antonella Genovino) aveva a più riprese provato a intavolare. Il gup, vale però la pena ricordare, ha comunque accolto l’aggravante del metodo mafioso del raid. Il nodo da sciogliere resta a questo punto quello relativo all’effettiva finalità dell’agguato. Chi volevano favorire i fratelli Del Re? Il clan di riferimento, se stessi oppure “mettere a posto” un problema personale instauratosi con Nurcaro? «Sul punto - conclude il gup - non sono dirimenti neppure le numerose dichiarazioni acquisite dei collaboratori di giustizia Antonio Migliaccio, Vincenzo Battaglia, Alfonso Mazzarella, Gaetano Nunziato e Umberto D’Amico».
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