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In carcere dopo la condanna: «La sua vita appesa a un filo»

In carcere dopo la condanna: «La sua vita appesa a un filo»

L’odissea di Raffaele Napolitano: «È depresso e anoressico». L'avvocato: «Pronti ad andare in Procura»

NAPOLI. La sua vita è appesa a un filo. Condannato a dieci anni di reclusione per usura, è pronto a scontare fino in fondo la pena che gli è stata inflitta. Ma il rischio concreto, dopo il suo recente rientro a Poggioreale, è che dalla casa circondariale di Napoli esca soltanto dentro una bara. La storia di Raffaele Napolitano, 52enne imprenditore originario di Nola, somiglia settimana dopo settimana sempre più a un calvario. Un’odissea che oggi viene ricostruita e denunciata dal suo avvocato, il penalista Vincenzo Strazzullo: «Il mio assistito - spiega al “Roma” - soffre da anni di depressione maggiore e anoressia. Già la direzione sanitaria del penitenziario di Santa Maria Capua Vetere, dove è stato inizialmente ristretto dopo il suo arresto nel 2016, ne aveva stabilito l’incompatibilità con il regime carcerario, tanto che in seguito gli erano stati concessi i domiciliari. A Poggioreale, dove si trova detenuto da ormai 25 giorni, nessuno sembra però voler ascoltare le mie istanze».

DETENZIONE A RISCHIO. L’appello lanciato dall’avvocato Strazzullo e dai familiari di Napolitano, almeno fin qui, è però caduto drammaticamente nel vuoto. L’imprenditore è stato di recente condannato in via definitiva a dieci anni di reclusione per associazione per delinquere finalizzata all’usura. In passato il 52enne, vista la gravità delle sue condizioni di salute, era riuscito a ottenere gli arresti domiciliari. Affetto da depressione maggiore e anoressia, era seguito dai medici dell’Asl di Nola e il suo quadro clinico aveva iniziato quantomeno a stabilizzarsi. Quando la condanna è diventata definitiva, avendo ancora un residuo di pena di cinque anni da scontare, ecco che però la situazione è degenerata. Tradotto nel carcere di Poggioreale nonostante la recente relazione della Corte d’appello di Napoli che confermava la delicatezza delle sue condizioni di salute, Raffaele Napolitano si trova adesso dietro le sbarre con il serio rischio di non riuscire a sopravvivere: «In queste settimane - precisa l’avvocato Strazzullo - ho scritto oltre quindici mail alla direzione di Poggioreale e all’autorità giudiziaria. Fino ad oggi nessuno si è però degnato di darci un riscontro. A breve presenterò le prime denunce in Procura».

LA CONDANNA. La vicenda che vede suo malgrado protagonista Napolitano risale al 2016, quando venne accusato di prestiti a strozzo con interessi superiori al 200 per cento. Secondo quanto ricostruito dalla guardia di finanza di Aversa, Napolitano e due complici avrebbero vessato un imprenditore di Villa di Briano, ex titolare di una catena di ristoranti. L’uomo era stato costretto a pagare in tre tranche circa 250mila euro. Tra gli arrestati c’era anche una ex guardia giurata, originaria di Nola. Secondo la ricostruzione della Procura, il gruppo era organizzato e ciascun indagato aveva un proprio ruolo: un procacciatore, un finanziatore e uno “sgarrista” che, armi in pugno, minacciava la vittima per costringerle a pagare. In manette erano così finiti Luigi Canfora, Raffaele Napolitano e Giosuè Simonetti, tutti di Nola. In casa di Canfora, ex vigilantes, erano state trovate anche due pistole sceniche. Napolitano e Simonetti sono entrambi imprenditori del settore edile. Napolitano procacciava in particolare imprenditori in difficoltà ai quali concedere prestiti a strozzo.

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