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Racket, inchiesta a picco: scarcerato il ras Troncone

Racket, inchiesta a picco: scarcerato il ras Troncone

NAPOLI. Non si trattò di racket, ma di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Con metodi poco ortodossi, certo, ma il ras Vitale Troncone e la cognata Luisa Troncone non avrebbero avuto intenzione di imporre una tangente estorsiva di natura mafiosa, bensì soltanto di far rientrare un credito non ancora restituito. È questa la verità giudiziaria accerta dal gip Baldassarre, che ieri mattina, al termine del processo di primo grado celebrato con il rito abbreviato, ha condannato il padrino di Fuorigrotta e la congiunta alla pena di dieci mesi a testa. Per entrambi gli imputati è così scattata l’immediata scarcerazione: nessuno di loro era infatti già detenuto per altre vicende. Il verdetto del giudice per le indagini preliminari ha dunque lasciato di sasso la pubblica accusa, aveva invece chiesto 9 anni e 4 mesi di reclusione per Vitale Troncone e 8 anni e 4 mesi per Luisa Troncone.

A spuntarla sono state però le argomentazioni portate avanti dalla difesa, rappresentata da Antonio Abet per il ras di via Costantino e da Antonella Regine per la donna coimputata. Il tandem difensivo ha in sostanza sostenuto e dimostrato che i due Troncone non hanno mai messo in atto una strategia estorsiva nei confronti del commerciante Paolo Miano, ex titolare di un bar a Fuorigrotta: si sarebbe trattato, piuttosto, della legittima pretesta di restituzione di un credito pregresso, quantificato tra i 30mila e i 38mila euro: cifra che l’imprenditore avrebbe avuto in prestito da Irene Iannarone, indagata nello stesso procedimento, la quale si sarebbe poi rivolta ai due Troncone per venire a capo dell’impasse.

La Procura, sulla scorta della circostanziata denuncia presentata dalla vittima e forte di una raffica di intercettazioni e registrazioni video, aveva invece tenuto il punto dell’accusa per estorsione aggravata dal metodo mafioso, chiedendo per Vitale Troncone una condanna a oltre nove anni di carcere, per la cognata Luisa a oltre otto. La linea della Dda non ha però convinto il giudice di primo grado, che ha invece inflitto ai due imputati soltanto dieci mesi. Per entrambi, già nel pomeriggio, è così scattato il ritorno a piede libero. La vicenda che portato alla sbarra il 52enne ras di Fuorigrotta risale alla fine dello scorso luglio, quando è stato arrestato dai carabinieri in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare insieme alla cognata “Lisa”.

Era il primo caso in cui un imprenditore a causa della crisi da Covid non è riuscito a restituire un prestito fiduciario e si è trovato a fare i conti con persone diverse da chi gli aveva dato i soldi. E secondo l’accusa a contattarlo facendo pressione su di lui erano stati addirittura il ras Vitale Troncone e la cognata Luisa Troncone, 41 anni. Ma coraggiosamente l’uomo aveva detto no e aveva sporto denuncia ai carabinieri, i quali con una rapida indagine coordinata dalla Dda erano arrivati alla conclusione che era stato commesso il reato di tentata estorsione con l’aggravante mafiosa.

L’imprenditore era andato sotto di diverse migliaia di euro a causa della crisi che ha coinvolto la sua azienda e, come spesso accade in casi del genere, le banche e le finanziarie non gli facevano più credito. Cosicché era stato costretto a rivolgersi ad alcuni conoscenti, uno dei quali gli aveva prestato i soldi che però non è riuscito a restituire. Quello che ne scaturì fu un vortice di minacce, con la donna, in particolare, che in diverse occasioni avrebbe avvertito: «Mi devi dare i soldi del bar che ti ha dato Irene, sono soldi miei. Dammeli o te ne devi andare da Napoli, ti tiro gli occhi».

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