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03 Marzo 2021 - 07:00
NAPOLI. Due omicidi eccellenti, il ferimento di un innocente e una sola condanna all’ergastolo. È questo il bilancio in chiaroscuro del processo conclusosi ieri mattina davanti ai giudici della seconda sezione della Corte d’assise d’appello di Napoli.
Alla sbarra si sono ritrovati ancora una volta alcuni dei massimi esponenti del clan degli Scissionisti di Secondigliano, a vario titolo accusati degli assassinii di Salvatore Barbato e Gennaro Spina, uccisi rispettivamente il 10 settembre 2011 e il 29 novembre 2011, e del raid che in occasione del primo delitto era quasi costato la vita a Luigi Russo.
Ebbene, per killer e mandanti della terza faida di Scampia le pene si sono rivelate, dopo la recente raffica di confessioni, al di sotto delle aspettative della Procura antimafia. Reduci dalla sfilza di ergastoli rimediati nel giudizio di primo grado, Luigi Aruta, difeso da Claudio Davino e Saverio Senese, si è visto la pena rideterminata in trent’anni di reclusione;
stessa sorte per Alessandro Grazioso; Antonio De Vita, assistito da Raffaele Chiummariello e Mario Terracciano, se l’è invece cavata con una condanna a vent’anni. Giuseppe Montanera, che a differenza degli altri tre imputati accusati del delitto Barbato, rispondeva dell’omicidio Spina, si è visto invece ribadire la pena dell’ergastolo.
Montanera è stato però l’unico nel corso del dibattimento a non ammettere gli addebiti: il suo difensore ha a più riprese cercato di dimostrare le incongruenze emerse dal racconto del pentito Giuseppe Ambra, suo principale accusatore, ma i giudici di appello alla fine hanno deciso di confermare l’impianto della Dda. Gennaro Spina, 26enne soprannominato “Versace” perché gli piaceva vestire bene, fu ammazzato per un clamoroso e tragico equivoco: nel clan cui era legato, la Vanella Grassi, si pensava che vesse fatto la “filata” per l’omicidio di Salvatore Barbato detto “Mezzanotte”.
Ma non era così: i killer degli Abete-Abbinante-Notturno-Aprea avevano avuto la dritta prima di entrare in azione, ma non da lui. Perciò la vendetta per il tradimento colpì la persona sbagliata. A rivelare il terribile retroscena dell’agguato a Spina è stato, nell’interrogatorio del 29 novembre 2012, il pentito Gaetano Annunziata, ex componente del gruppo di fuoco degli Abete-Abbinante-Notturno-Aprea con base ai Sette Palazzi.
Pure il fratello del collaboratore di giustizia, Carmine, anch’egli passato dalla parte dello Stato, ha parlato dell’argomento riferendo che il clan aveva un uomo che dalla Vanella mandava sms con gli spostamenti degli obiettivi da colpire: «Un infiltrato in quella zona».
Ma com’è emerso dalle indagini coordinate dalla Dda, non si trattava del 26enne soprannominato “Versace”. Ecco quanto mise a verbale Gaetano Annunziata: «Riconosco in foto una persona morta ammazzata, soprannominata “Versace”.
Era un affiliato al clan Vinella Grassi e fu ucciso dalla stessa Vanella. Di questo omicidio so che quest’uomo, avrebbe fatto la cosiddetta “filata” a noi per uccidere Salvatore Barbato.
Ma in realtà non è così. Non so però chi si filò Salvatore Barbato in quanto questo omicidio è stato commesso dal gruppo di fuoco degli Abbinante e non da noi dei Sette Palazzi»
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