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Astrazeneca, 26enne ricoverata per trombosi cerebrale. Si era vaccinata da quindici giorni

Astrazeneca, 26enne ricoverata per trombosi cerebrale. Si era vaccinata da quindici giorni

Astrazeneca, 26 ricoverata per trombosi cerebrale. Si era vaccinata da quindici giorni

A quanto apprende l'Adnkronos Salute, è ricoverata da ieri al Policlinico di Milano una ragazza di 26 anni con trombosi cerebrale.

La giovane aveva ricevuto 16 giorni fa la prima dose del vaccino anti Covid di AstraZeneca.

La giovane è stata trasportata al Policlinico di Milano, dopo aver manifestato una trombosi cerebrale.

Il ricovero della paziente presso il nosocomio milanese è avvenuto circa quindici giorni dopo la somministrazione del vaccino contro il coronavirus prodotto da AstraZeneca.

La segnalazione sul caso è partita ieri sera. Dall'Irccs di via Sforza, interpellato sull'episodio, precisano che "non ci sono al momento elementi sufficienti per dare una risposta sull'eventuale correlazione di questo evento con la vaccinazione".

 

Milano, 26enne vaccinata con AstraZeneca ricoverata per trombosi cerebrale

Nella giornata di lunedì 12 aprile, una giovane di 26 anni è stata ricoverata al Policlinico di Milano per una trombosi cerebrale, due settimane dopo essere stata vaccinata con il siero anti-Covid anglo-svedese AstraZeneca.

La segnalazione è stata ricevuta dal 118 nella serata di lunedì 12 e, in seguito all’arrivo dei soccorritori, si è resa necessaria l’ospedalizzazione al Policlinico.

La gravità delle condizioni della donna, poi, ne hanno imposto il trasferimento presso il Centro trombosi coordinato dalla dottoressa Flora Peyvandi, designata come struttura di riferimento in simili circostanze.

In merito alla vicenda, è stato chiamato ad esprimersi l’Irccs di via Sforza che ha dichiarato quanto segue

 

«La paziente è cosciente»

 “Non ci sono al momento elementi sufficienti per dare una risposta sull’eventuale correlazione di questo evento con la vaccinazione”.

Le condizioni cliniche della 26enne, infine, sono state commentate anche dall’ospedale milanese che ha spiegato

“La paziente è cosciente e risponde alle terapie. È in condizioni ritenute stabili, anche se la prognosi resta riservata”.

 

Vaccino e trombosi, Johnson & Johnson come AstraZeneca?

Sul vaccino Johnson & Johnson, trombosi rare e stop precauzionale, "quello che stiamo vedendo negli Stati Uniti non è una cosa diversa da quel che è successo in Europa la settimana scorsa" con AstraZeneca. Il virologo Massimo Clementi commenta così all'Adnkronos Salute le notizie arrivate oggi dagli Usa riguardo al prodotto scudo J&J che in questi giorni era in distribuzione anche in Europa. "C'è qualche sospetto che ci siano alcune seppur rarissime trombosi profonde anche con altri vaccini che si basano più o meno sulla stessa tecnologia, e quando si passa dagli studi valutativi a numeri più alti" della vita reale "il dubbio viene. Penso che la Fda abbia la possibilità di valutare fino in fondo questa cosa. A questo punto è importante che ci sia una risposta conclusiva", spiega il virologo.

 

 

L'azienda farmaceutica ha fatto sapere di aver preso la decisione di ritardare proattivamente il lancio nel Vecchio continente, mentre è in corso l'esame di questi casi anche con le autorità sanitarie europee. Clementi riflette sulla situazione attuale. "C'è ovviamente il timore" che la mossa Usa abbia "un riverbero, un impatto anche sul fronte europeo - osserva il direttore del Laboratorio di microbiologia e virologia dell'ospedale San Raffaele di Milano e docente all'università Vita-Salute - Quello che abbiamo visto con AstraZeneca potrebbe ripetersi".

Quanto ai casi sotto la lente negli Usa, "sono eventi molto rari, e vediamo di nuovo una caratterizzazione al femminile. La storia si ripete, e potrebbe suggerire che è nel vettore che andrebbe indagato, ma è difficilissimo farlo - fa presente Clementi -. Non ci sono altre situazioni se non la vaccinazione anti-Covid che includano così tante persone. Essendo quello sotto valutazione un evento rarissimo, lo si vede solo nei grossi numeri".

"Sul fronte efficacia, invece, si pensi anche alle dichiarazioni cinesi che in qualche modo sembrano tagliare fuori i vaccini fatti con modalità convenzionali, cioè con virus ucciso e in un caso frammentato. Alla fine il rischio è che il cerchio si stringa sempre di più. In questo momento i vaccini a mRna, che inizialmente assorbivano tutte le perplessità in quanto novità, sembrano non aver dato problemi grossi di sicurezza e efficacia. Ora mi auguro che ci possa essere da parte della Fda una valutazione che ci dica chiaramente se si tratta di fenomeno importante o meno e, se è un effetto appena rilevabile, che si possa riprendere la vaccinazione con J&J. A questo punto però, ribadisco, è importante una risposta conclusiva", conclude il virologo.

 

 

"Il vaccino anti-Covid di J&J è basato sugli stessi principi di quello di AstraZeneca. E' verosimile che i rarissimi eventi avversi, che sono stati evidenziati per i due prodotti, siano riconducibili allo stesso meccanismo. Con una stessa ipotesi di origine autoimmune. I dati disponibili sembrano infatti indicare l'esistenza di una reazione autoimmunitaria", spiega quindi all'Adnkronos Salute, Andrea Cossarizza, docente di Patologia generale e Immunologia all'università degli Studi di Modena e Reggio Emilia commentando la sospensione negli Stati Uniti per il vaccino Johnson & Johnson.

"Si tratta - spiega Cossarizza - di eventi estremamente rari: negli Usa sono riportati sei casi, di cui uno mortale e uno grave, su poco meno di 7 milioni di vaccinazioni. E riguardano tutti donne, come abbiamo visto con AstraZeneca, tra i 18 e i 48 anni. L'ipotesi, dunque, è che alla base di questo fenomeno ci sia un meccanismo di immunopatogenesi che attiva una risposta immunitaria eccessiva contro qualche componente dell'organismo. Nelle donne in quella fascia di età, del resto, è più frequente l'incidenza di malattie autoimmuni".

L'immunologo ricorda che su J&J, al momento, non ci sono analisi pubblicate mentre per AstraZeneca sono usciti due importanti lavori, il 9 aprile sul New England Journal of Medicine, "che mostrano la presenza di anticorpi anti PF4, molecole presenti nelle piastrine, simili a quelli visti in rari pazienti dopo il trattamento con eparina. Il meccanismo patogenetico di Astrazeneca, dunque, è stato in parte già identificato". Gli elementi comuni tra i casi, comunque, ci sono. "Sono tutte donne, in buona salute, della stessa fascia di età. E nelle donne, per motivi anche legati agli ormoni e al genere, c'è una predisposizione maggiore a sviluppare malattie autoimmuni", conclude l'immunologo che, considerando i numeri e la rarità dei casi, evidenzia come l'individuazione di questi rarissimi eventi avversi dimostri "che il sistema di farmacovigilanza sia efficiente, in Europa come negli Usa".

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