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Soffiate ai boss del clan Puca, il carabiniere (per ora) è salvo

Soffiate ai boss del clan Puca, il carabiniere (per ora) è salvo

CAMORRAIl maresciallo maggiore è accusato di rivelazione di segreto d’ufficio. La Cassazione scagiona Vincenzo Di Marino: niente carcere

NAPOLI. Il fango della camorra sulla divisa, l’impianto accusatorio inizia a scricchiolare. Il pubblico ufficiale indagato e arrestato con il sospetto di aver rivelato una lunga serie di informazioni riservate ad alcuni esponenti di punta del clan Puca può tirare un primo sospiro di sollievo. L’incubo per lui non è ancora finito ma Vincenzo Di Marino, maresciallo maggiore in servizio fino allo scorso anno nella tenenza di Sant’Antimo, da ieri può iniziare a vedere la luce in fondo al tunnel. La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso dei difensori Luigi Senese e Antonio Del Vecchio, ha annullato l’ordinanza in forza del quale il carabiniere rischiava adesso di tornare nuovamente dietro le sbarre e disposto un nuovo pronunciamento del Riesame. La vicenda che vede, suo malgrado, protagonista Di Marino ha assunto nel tempo dei contorni a dir poco drammatici e complessi: per questo motivo è bene ripercorrerne le tappe con ordine e dall’inizio. Il suo nome balza per la prima volta alla ribalta della cronaca giudiziaria nel gennaio dello scorso anno, quando cinque carabinieri vengono arrestati con l’accusa di aver favorito gli affari criminali del clan Puca. Passano sei mesi e sulla testa arriva un secondo provvedimento cautelare, quello - per intenderci - che ha visto coinvolti anche i fratelli Cesaro. I colpi di scena non finiscono però qui. Nel frattempo Di Marino lascia il carcere di Santa Maria Capua Vetere per decorrenza termini e il giudice gli impone il solo obbligo di firma in un’altra regione che non sia la Campania. La Procura antimafia non ha però alcuna intenzione di mollare la presa e si appella al Riesame chiedendo un nuovo arresto per il maresciallo maggiore. I giudici del tribunale delle Libertà accolgono la linea accusatoria e per il carabinieri le cose tornano a complicarsi. I suoi avvocati difensori, certi di poter dimostrare l’assenza di esigenze cautelari, oltre che la carenza di gravi indizi di colpevolezza, ricorrono per Cassazione ed è in questa sede che matura l’ultimo, clamoroso colpo di scena. La sesta sezione della Suprema Corte, convergendo sulle argomentazioni sostenute dal tandem difensivo Senese-Del Vecchio, ha infatti annullato la precedente ordinanza del Riesame, disponendo un nuovo pronunciamento del tribunale delle Libertà. Una situazione labirintica, per non dire esplosiva, i cui strascichi sono stati però pesantissimi: poche settimane fa Di Marino, temendo forse di finire nuovamente in galera, ha infatti provato a farla finita, per fortuna senza riuscire nell’intento. Le sue condizioni di salute adesso sono comunque buone e grazie all’ultimo verdetto della Cassazione continuerà ancora a rimanere a piede libero. Restano ad ogni modo ancora in piede le pesanti ombre accusatorie spiccate nei suoi confronti dalla Procura. Vincenzo Di Marino deve infatti rispondere di rivelazione di segreto d’ufficio aggravata dalla finalità mafiosa. Secondo i pm, con le proprie soffiate Di Marino avrebbe infatti favorito gli affari del clan Puca. Sul punto, i suoi difensori hanno però sostenuto che il reato non si è mai configurato o quantomeno non lo ha fatto nei termini stabiliti dalla Dda: il maresciallo maggiore, nel corso della sua ultratrentennale carriera nell’Arma, avrebbe infatti fornito alcune informazioni a un solo esponente della temibile cosca di Sant’Antimo e questa condotta, ferma restando la presunzione di innocenza fino a prova contraria, non sarebbe dovuta essere sufficiente a formulare l’aggravante del cosiddetto articolo 7. Ad ogni la palla passa adesso nuovamente al Riesame. Il tutto mentre appena due giorni fa è stato disposto il rinvio a giudizio per oltre quaranta imputati coinvolti nella seconda retata.

(Nei riquadri il maresciallo maggiore Vincenzo Di Marino e il rampollo del clan Lorenzo Puca)

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