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14 Dicembre 2016 - 19:52
Il principale attore del film-documentario Mariano Abbagnara non può essere per ora ritenuto un camorrista
NAPOLI. E’ approdato presso la Suprema Corte il processo a carico di Mariano Abbagnara, detto “faccia janca”, ritenuto, nonostante la sua giovanissima età, elemento di spicco del gruppo di fuoco dei “Fraulella”, ovvero il clan D’Amico, operante nella roccaforte del Rione Conocal di Ponticelli ed in lotta sul territorio con l’avverso clan dei De Micco. Il baby boss è divenuto celebre grazie alla sua testimonianza in “Robinù”, il film documentario di Michele Santoro, presentato in anteprima al festival del cinema di Venezia. All’intervistatore che gli chiedeva della sua vita, il giovane non aveva remore a raccontare dell’indissolubile rapporto che lo legava al micidiale mitragliatore “Kalashnikov”: “quando tenevo o kalash in braccio mi sentivo o padrone”. L’emozione dell’ abbraccio con il mitragliatore da parte di Abbagnara è descritto in una scena del film e viene dal baby boss paragonato all’abbraccio della nota show-girl Belen Rodriguez. Questa era una delle affermazioni con la quale candidamente “faccia janca” sembrava ammettere il suo coinvolgimento nelle azioni armate ai danni dei sodali dell’avverso clan dei De Micco. In effetti, è stato alcuni mesi orsono raggiunto da un’ ordinanza di custodia cautelare in carcere per aver preso parte al clan D’Amico proprio quale componente del gruppo di fuoco. Le accuse nei suoi confronti venivano confermate dal Tribunale del riesame. Non solo, la sua posizione si aggravava all’esito della conferma anche in grado di appello della condanna ad anni sedici per il concorso in un omicidio che trovava la sua ragione in un debito connesso al narcotraffico, vicenda nella quale è raggiunto dalla chiamata in correità di un suo amico, divenuto nelle more collaboratore di giustizia. Il processo è giunto in Cassazione dove Mariano Abbagnara è difeso dall’avvocato Dario Vannetiello. Ieri allorquando l’impianto accusatorio afferente alla intraneità di Abbagnara al clan D’Amico doveva essere verificato dalla Suprema Corte di cassazione ha ricevuto uno stop, una smentita, decisione che colpisce, decisione che non era facile prevedere, anche per il negativo effetto mediatico del film Robinù che dipinge giustamente “faccia janca” come l’ eroe in negativo. Infatti, la prima sezione della Corte di Cassazione, presieduta da Massimo Vecchio, ha ritenuto di dover accogliere in pieno le argomentazioni difensive scritte dall’avvocato Dario Vannetiello e sostenute in aula dall’avvocato. Saverio Campana, annullando con rinvio ed in toto la ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame. Nel corso del nuovo giudizio occorrerà verificare se sussistono o meno i presupposti per ritenere il baby-boss già un vero camorrista e se competente a decidere è l’autorità giudiziaria ordinaria, o quella del Tribunale dei minorenni come diffusamente sostenuto dalla difesa. Per ora, nè le numerose intercettazioni che vedono Abbagnara protagonista, nè il racconto di ben cinque pentiti sono bastati a sorreggere l’impianto accusatorio davanti ai giudici di legittimità, puntualmente demolito dalle argomentazioni difensive che hanno trovato, a giusta ragione, residenza presso i Giudici della Suprema Corte.
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