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27 Aprile 2021 - 07:00
La Suprema Corte annulla la condanna a 16 anni per il boss Mariano Riccio: è giallo sul gruppo autonomo
NAPOLI. Mariano Riccio è stato un boss? E se lo è stato, quale organizzazione ha diretto? Ha ereditato la guida del clan Amato-Pagano dopo la cattura del suocero “Cesarino” o ha messo in piedi un proprio gruppo autonomo? Sta di fatto che, dopo la stangata rimediata nel giudizio di appello, il giovane ras maranese si ritrova a sorpresa davanti a un clamoroso ribaltone: ieri sera la Corte di Cassazione, dando pieno accoglimento al ricorso del difensore Domenico Dello Iacono, ha annullato la precedente condanna a sedici anni di reclusione, disponendo la celebrazione di un nuovo processo di secondo grado. Sulla testa di Riccio pendevano le pesantissime accuse di associazione per delinquere di tipo mafioso e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.
Mario Riccio, noto negli ambienti camorristici di Scampia e Secondigliano come “Mariano”, è diventato negli ultimi anni uno dei volti di punta della camorra di Napoli Nord. Già imputato e condannato anche per gravi fatti di sangue, il suo profilo criminale rischia però adesso di perdere in maniera drammatica l’esatto inquadramento.
Secondo gli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia, Riccio, dopo la cattura di Cesare Pagano, sarebbe stato investito della totale e incondizionata gestione del clan: tanto da rendersi protagonista di una feroce espansione anche sul territorio di Marano, oltre che sulla periferia nord di Napoli. A inchiodarlo allo status di boss ci avevano pensato, oltre ad alcuni importanti collaboratori di giustizia, anche delle schiaccianti intercettazioni ambientali. Su tutte quelle che hanno consentito di registrare la voce dell’affiliato e coimputato Vincenzo Aletto, il quale, commentando in diretta l’avvenuta cattura di Riccio, si domandava chi avrebbe pagato da quel momento in poi le mesate agli uomini dell’organizzazione.
Ebbene, alla luce del clamoroso annullamento disposto ieri dagli Ermellini della terza sezione potrebbe non essere più chiaro per conto di quale cosca Mariano abbia agito: in continuazione con i capostipiti Amato-Pagano o per un gruppo inedito, i cosiddetti “ragazzi di Mariano”? La palla passa a questo punto nuovamente ai giudici di appello, chiamati nei prossimi mesi a pronunciare una nuova sentenza di merito. Intanto i sedici anni fin qui inflitti a Mariano Riccio rischiano di diventare carta straccia. La Corte di Cassazione ha poi annullato la precedente condanna inflitta a Salvatore Stabile, difeso da Marcello Severino: per il resto ha pienamente ribadito il verdetto di appello, disponendo solo alcuni annullamenti parziali in ordine al trattamento sanzionatorio. In primo grado la pubblica accusa aveva invocato qualcosa come oltre quattro secoli di carcere: questa la richiesta del pm della Dda contro il gruppo di presunti trafficanti di droga al servizio del clan Amato-Pagano.
Alla sbarra erano così finiti tutti i personaggi ritenuti di spessore all’interno della cosca che era diretta dalla scissionista Mariano Riccio. La Procura ha ricostruito tutto l’organigramma della cosca e Mariano Riccio a parte, considerato il capo prima e dopo l’arresto, promotori venivano ritenuti tra gli altri Mario Iadonisi, Vincenzo Aletto, Armando Di Somma, Davide Tarantino, Castrese Ruggiero, Antonio Caputo, Giuseppe Siviero, Giuseppe Busiello e Salvatore Stabile.
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