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14 Maggio 2021 - 12:40
NAPOLI. Da capogruppo di “Dema” ad un nuovo gruppo, composto dall’area della sinistra, che si allontanta dalla maggioranza che sostiene Luigi de Magistris. È la scelta di Rosario Andreozzi (nella foto), esponente dell’ex area movimentista di Dema, ormai sparita dopo che il partito. Con lui va via anche Elena De Gregorio, lasciando Dema con soli 4 consiglieri, che insieme ai tre di “Davvero”, i tre del “misto di maggioranza” e Laura Bismuto del misto formando gli undici componenti certi di una maggioranza che non può più definirsi tale.
Andreozzi, quali i motivi che l’hanno portata a questa scelta?
«Lasciare il gruppo che ho avuto l'onore e l'onere di rappresentare per cinque anni è stata una scelta ragionata a lungo ma inevitabile. Negli ultimi mesi Palazzo San Giacomo si è trasformato in un comitato elettorale. Al centro non ci sono più gli interessi della città, ma azioni amministrative volte all'accumulo di consenso personale. Dinamiche che fanno parte di un modo sbagliato di intendere la gestione della cosa pubblica e da cui l'anomalia de Magistris aveva avuto il coraggio di prendere le distanze e rappresentare una interessantissima novità. Questo spirito si è perso e questo non è più il progetto politico che mi rappresenta».
Quanto ha inciso l’addio di Eleonora de Majo?
«Hanno inciso tanti elementi. Di sicuro Eleonora con la sua uscita aveva segnalato una serie di criticità che non sono state corrette e che oggi si ritrovano all'interno del documento che abbiamo condiviso per la nascita del nuovo gruppo. La sua uscita aveva lanciato un allarme e lei stessa aveva auspicato che il suo gesto potesse servire ad aprire una riflessione volta ad invertire la rotta. Non è accaduto e oggi le ripercussioni coinvolgono inevitabilmente anche il consiglio comunale».
Pare evidente che non sosterrete Alessandra Clemente. State valutando altre ipotesi per le prossime amministrative?
«Nonostante siamo a pochi mesi dal voto, il dibattito sulle prossime amministrative mi pare ancora molto aperto e nessuno scenario scontato. Ci sono in campo in questo momento a sinistra candidati credibili, spinti da un civismo vero e con cui condivido la medesima cultura politica. Sulla candidatura della Clemente ho espresso da subito le mie profonde perplessità e devo dire che a distanza di mesi non avevo torto. Nessuna delle posizioni pubbliche espresse dalla candidata rivendica o rilancia le battaglie più radicali ed interessanti di questi dieci anni, anzi sembra piuttosto ammiccare ad una idea di città conservatrice e poco attenta ai bisogni ed alle istanze delle fasce più deboli. Un'idea opposta a quella costruita in dieci anni di anomalia de Magistris. Per questa ragione, perché noi rappresentiamo invece quei pezzi di città che vengono dalle battaglie sociali, dai movimenti, non possiamo appoggiare una candidatura che non si fa interprete di quelle istanze».
Quali errori sono stati commessi, secondo lei, nella designazione della candidatura di Clemente?
«Innanzitutto il fatto che non c’è stato alcun confronto, né con la maggioranza consiliare, né con il movimento Dema, né con le forze civiche e sociali che hanno sostenuto l'amministrazione in questi dieci anni. Un errore difficile da riparare ed ha cui sono seguiti rimpasti incomprensibili, sostituzioni di figure autorevoli ed una chiusura progressiva del palazzo rispetto ai bisogni della città reale».
Ci sono state altre scelte politiche o amministrative che vi hanno portato a decidere di andare via?
«Assolutamente sì, tante. Dare priorità assoluta ad azioni amministrative volte all'accumulo del consenso personale della candidata sindaca e dei suoi fedelissimi ha comportato una progressiva perdita di interesse e di attenzione verso le priorità della città. L'abbandono al proprio destino delle aziende partecipate e dei lavoratori, le continue esternalizzazioni delle commesse pubbliche, il rallentamento sui grandi processi di rigenerazione urbana come Restart Scampia, il silenzio su Bagnoli, il fallimento del progetto di accorpamento delle partecipate nella Holding, il passo indietro eclatante della delibera sul debito ingiusto, lo spacchettamento e il riaccorpamento del welfare cittadino in pochi mesi e al contempo una gestione del patrimonio che non guarda all'interesse pubblico sono solo alcuni esempi che danno il senso di quanto si sia persa la bussola negli ultimi mesi».
Nel documento di creazione del gruppo scrivete: “vigileremo affinché non si consumino clientelismi”. C’è qualche elemento che vi fa sospettare che ci sia questo rischio?
«Si. È in atto un passo indietro significativo sul management delle partecipate. La scelta di tornare ai consigli di amministrazione a fine mandato al posto degli amministratori unici, la nomina di nuovi direttori, sembrano scelte legata più che l'interesse delle aziende stesse, ad un giro di poltrone funzionale alla campagna elettorale.
Il gruppo sostiene che “valuterà con severità” ogni atto in Consiglio. Come vi comportere sul bilancio?
«La discussione sul bilancio sarà sicuramente centrale per i lavori del nuovo gruppo. Valuteremo il contenuto dell'atto con un unico criterio: l'interesse della città».
Al tramonto dell’esperienza amministrativa, quale il suo giudizio complessivo dell’avventura arancione?
«Credo che questa esperienza abbia avuto moltissimi meriti. La città ha visto significativi miglioramenti su alcuni fronti ma la cosa più importante è che ha rappresentato per molti anni un nuovo modo di intendere la politica, coltivando il rapporto con i comitati e i movimenti di base, rifiutando quell'idea di gestione della cosa pubblica fondata sugli interessi personali che abbiamo visto per anni imperare a Palazzo San Giacomo. Tutta questa ricchezza si è persa nell'ultimo periodo e ciò che si propone come giovane e innovativo somiglia invece troppo ad un passato a cui non vogliamo tornare».
E per quanto riguarda Dema? Quali errori sono stati commessi tali da non dare al Movimento quella dimensione nazionale che immaginava di poter raggiungere?
«L'errore principale a mio avviso è stato tirarsi indietro dalla competizione delle elezioni europee del 2019. Lo scenario politico internazionale era particolarmente favorevole alla creazione di una sinistra radicale e non minoritaria che in Italia avrebbe potuto avere Luigi de Magistris come suo leader e portavoce. Questo avrebbe permesso a Dema di emanciparsi dalla dimensione cittadina. Quello che sta accadendo in Calabria è invece molto interessante, in continuità con l'anomalia che abbiamo contribuito a costruire in questi anni. Resta incomprensibile e avvilente che lo stesso spirito e le stesse scelte non abbiano coinvolto la nostra città».
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