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Tsunami sulla Vanella Grassi: il boss Spera confessa in aula

Tsunami sulla Vanella Grassi: il boss Spera confessa in aula

Il capozona delle Vele: «Avevo perso tutto, il clan era la mia unica chance». Vincenzo “’o nir” getta la spugna: «Ma io sono stato un semplice affiliato»

NAPOLI. A designarlo come suo erede indiscusso era stato niente di meno che Salvatore Petriccione “’o marenar”, storico capoclan della Vanella Grassi detenuto dai tempi della prima faida. L’incarico fu accettato di buon grado, tanto nel giro di pochi mesi Vincenzo Spera, alias “’o nir”, era diventato l’assoluto punto di riferimento della cosca per quanto riguardava la gestione degli affari criminali all’ombra delle Vele di Scampia. La sua reggenza è andata avanti fino al luglio scorso, quando l’ennesima retata ha messo ancora una volta all’angolo il “sistema” della periferia nord di Napoli. Ebbene, dopo quasi un anno trascorso dietro le sbarre e schiacciato dalla prospettiva di rimanerci ancora per i prossimi sedici anni, il ras Spera ieri mattina ha deciso di ammettere le proprie responsabilità. Accusato di associazione per delinquere di tipo mafioso, traffico di droga ed estorsione aggravata, il 42enne capozona delle Vele alla fine ha dunque deciso di gettare la spugna

. Nel corso dell’udienza del rito abbreviato che, dopo la recente requisitoria del pubblico ministero è ormai entrato nel vivo, Spera “’o nir” ha dunque chiesto al gip Sepe la parole e in videocollegamento dal carcere ha reso una circostanziata dichiarazione spontanea: l’erede di Petriccione ha innanzitutto ammesso le proprie responsabilità, ma al tempo stesso ha affidato al giudice di primo grado alcune importanti considerazioni e retroscena personali. Vincenzo Spera ha infatti sostenuto, sì, di aver fatto parte del clan della Vanella Grassi partecipando attivamene allo smercio di stupefacenti, ma ha respinto con fermezza la ricostruzione accusatoria secondo la quale sarebbe stato uno degli attuali vertici della cosca: insomma, il suo ruolo sarebbe stato quello di un semplice affiliato e non, come sostenuto dalla Procura, di capo e promotore. Il presunto ras ha inoltre affermato di non aver mai compiuto alcuna estorsione ai danni degli ambulanti del mercatino rionale di Scampia. “’O nir” si è infine congedato spiegando che dopo la sua ultima scarcerazione si era ritrovato a vivere come un clochard: senza un euro e senza un tetto sopra la testa. A spingerlo tra le braccia del clan delle Vele sarebbero dunque state le sue condizioni di grave indigenza e non la fede incrollabile nei “valori”della camorra. Nel corso dell’udienza sono poi arrivate anche ulteriori confessioni: oltre dieci.

E pare che l’elenco sia destinato ad allungarsi ancora nelle prossime tappe giudiziarie. «Deve comandare Spera». Così scriveva in un pizzino Salvatore Petriccione “’o marenar”, storico ras della Vanella Grassi detenuto dai tempi della prima faida di Scampia e Secondigliano. Dal carcere indicò al clan chi lo dovesse reggere, facendo il nome di Vincenzo “’o nir” sulla base di varie considerazioni: l’età e il numero di anni trascorsi dietro le sbarre ma non la parentela visto che i due soci di camorra non sono legati da vincoli familiari. In altri casi infatti, come nella designazione al vertice dei fratelli Accurso, era prevalso il criterio dello stesso sangue. Anche Salvatore Petriccione figurava tra gli oltre 50 destinatari della misura cautelare eseguita all’alba del 7 luglio: per il pm ha chiesto vent’anni di reclusione

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