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08 Giugno 2021 - 07:00
Chiesto l’ergastolo per Enrico La Salvia, il vero obiettivo del raid era l’allora emergente ras Daniele Pandolfi
NAPOLI. Ucciso per la sua amicizia con l’allora emergente ras della Sanità, Daniele Pandolfi (poi passato tra le fila dei collaboratori di giustizia), la Procura antimafia tenta l’affondo e chiede il massimo della pena, cioè l’ergastolo, per il presunto killer Enrico La Salvia, esponente del temibile clan Sequino. È stata questa la richiesta di condanna avanzata ieri mattina dal pm al termine della requisitoria tenuta davanti al gup di Napoli: il processo di primo grado si sta celebrando con il rito abbreviato. Antonio Bottone fu assassinato la sera il 6 novembre 2016. In un primo momento gli inquirenti ipotizzarono che fosse finito nel mirino del clan Sequino perché avrebbe sospettato di aver partecipato ad alcune stese nel rione Sanità. Lui e l’allora 21enne Daniele Pandolfi, ferito nello stesso agguato ai Colli Aminei, facevano coppia fissa e più volte erano incappati insieme nei controlli in strada delle forze dell’ordine.
Ma secondo gli investigatori il 28enne avrebbe avuto un ruolo più operativo nell’ambito del gruppo Vastarella e così si pensò che per questo motivo fosse partito l’ordine di morte nei suoi confronti. Realizzato, su questo non ebbero dubbi i carabinieri, grazie a uno “specchiettista”: un complice che ha segnalato ai sicari la presenza del bersaglio designato nella cornetteria. La classica “filata”. Antonio Bottone, napoletano di via Nicolardi con precedenti per reati contro il patrimonio, morì durante il trasporto al Cardarelli; se l’era invece cavata Daniele Pandolfi, originario di gradini San Nicandro, colpito da un solo proiettile al gluteo sinistro.
Appena ha visto entrare il killer con il volto quasi completamente coperto da un cappello di lana, ha capito ed è corso nel retrobottega chiudendosi a chiave nel bagno: una mossa fulminea che gli ha permesso di mettersi in salvo. Il malvivente non ha perso tempo a inseguirlo, non volendo rischiare di trovarsi alla fine in trappola. A mezzanotte circa Bottone e Pandolfi si trovavano nella cornetteria di viale dei Pini, da loro non frequentata abitualmente. Ma qualcuno, all’interno del clan Sequino secondo gli investigatori, evidentemente li teneva d’occhio. Così il killer è entrato nel locale sicuro di trovarli e si è diretto verso Antonio Bottone, il più vicino a lui. Sono partiti tre proiettili calibro 7,65 da distanza ravvicinata e il 28enne si è accasciato in un lago di sangue.
Daniele Pandolfi è scappato nel retro ed è stato centrato da un solo colpo alla natica. C’erano una decina di persone, ma all’arrivo dei carabinieri sono stati trovati soltanto il titolare, risultato del tutto estraneo agli ambienti della malavita. Le indagini furono condotte dai carabinieri della compagnia Vomero, all’epoca guidati dal capitano Luca Mercadante, con i colleghi del Nucleo investigativo del Reparto territoriale del comando provinciale. L’inchiesta ci mise un po’ ad approdare a un punto di svolta ma alla fine il presunto sicario è stato assicurato alla giustizia. Prima in manette e poi alla sbarra è infatti finito Enrico La Salvia, volto più che noto della camorra del rione Sanità e già implicato in altri procedimenti. Stavolta il malavitoso del clan Sequino rischia però davvero grosso: per lui il pubblico ministero ha infatti invocato il massimo della pena, cioè la condanna al carcere a vita. Il presunto killer potrebbe però cavarsela con una pena leggermente inferiore qualora il giudice di primo grado decidesse di concedergli le attenuanti generiche
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