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20 Giugno 2021 - 07:00
Della holding avrebbero fatto parte costruttori edili e banchieri.Solo quattro condanne: Francesco Russo incassa 16 anni
NAPOLI. Secondo l’ipotesi della pubblica accusa si sarebbero messi al servizio di ben sette cosche attive tra Napoli e l’hinterland nord del capoluogo. Dal clan Mallardo di Giugliano, al clan Di Lauro, dagli Scissionisti, ai Puca e i Verde di Sant’Antimo, passando per gli Aversano di Grumo Nevano e i Perfetto di Chiaiano. Loro, colletti bianchi e imprenditori al di sopra di ogni sospetto, avrebbero così contribuito attivamente a ripulire i soldi provento degli affare illeciti della malavita. Dopo la retata del 2017, il futuro di quell’inchiesta appare oggi però appeso a un filo: il processo di primo grado, al termine di un estenuante dibattimento, si è infatti concluso con ben nove assoluzioni o prescrizioni e appena quattro condanne. I giudici della sesta sezione penale hanno inflitto 4 anni di reclusione a Carmine Chianese, 3 anni e 6 mesi a Crescenzo Esposito e al ras Pasquale Puca “’o minorenne”, 16 anni a Francesco Russo.
Per il resto il verdetto si è rivelato ben al di sotto delle aspettative della Procura. Emblematico il caso del costruttore edile Emanuele Di Spirito (difeso dagli avvocati Roberto Saccomanno e Giuseppe Borrelli), per il quale il pm aveva chiesto 18 anni di reclusione e è stato invece assolto. Stessa sorte per fratello Francesco, difeso da Roberto Saccomanno e Alfonso Palumbo, per il quale erano stato però invocati 8 anni di carcere. Antimo Morlando e Domenico Massaro sono stati invece assolti per alcuni dei capi di imputazione, mentre per altri i giudici hanno stabilito di non doversi procedere per decorso del termine massimo di prescrizione. Reati prescritti anche per Gennaro Chianese, mentre Antimo Castiglione, Teresa Gervasio e Maria Urbino sono stati assolti per non aver commesso il fatto, mentre Anna Morlando è stata assolta perché il fatto non costituisce reato. Del collegio difensivo facevano parte anche gli avvocati Sergio Cola, Mario Griffo, Vincenzo De Rosa, Antonio Verde, Stefano Montone e Giampaolo Picardi. Per i fratelli Di Spirito è stato anche disposto il dissequestro di beni del valore di oltre due milioni di euro. Il sodalizio operava in diverse regioni italiane: Emilia Romagna, Lazio, Abruzzo, Umbria, Sardegna, Lombardia, con base operativa in Campania e attivo in diversi settori illeciti.
Gli arresti del 2017 rappresentavano lo sviluppo delle indagini relative al sequestro del parco “Primavera” di Melito, ritenuto frutto di una speculazione edilizia realizzata dal clan Di Lauro con l’appoggio dell’ex sindaco Alfredo Cicala, attraverso una lottizzazione abusiva. Per gli investigatori era stato svelato un vaso di pandora criminale: un’organizzazione capillare e ramificata che coinvolgeva anche insospettabili colletti bianchi tra cui un direttore di banca bolognese, incaricato di eludere i sistemi di controllo sulla provenienza dei capitali illeciti frutto di truffe alle assicurazioni e di false pratiche relative a incidenti automobilistici, incendi e allagamenti mai avvenuti. Il suo ruolo sarebbe stato quello di ripulire i soldi sporchi della camorra, frutto di truffe milionarie ad assicurazioni e di altri affari illeciti. Il funzionario di banca e il commercialista napoletano Antimo Castiglione, adesso assolto, non si sarebbero limitati a fornire un ausilio estemporaneo agli indagati - secondo i finanzieri - ma erano stati in costante e sinergico rapporto con il gruppo camorristico e da esso avevano tratto vantaggi personali. Di quell’inchiesta, almeno sulla carta, così dirompente, oggi non resta però che poco più di un cumulo di macerie.
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