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22 Giugno 2021 - 07:00
Luigi Rignante doveva essere ucciso e poi sepolto tra i campi di Marano.Gli Abbinante pronti a punire la relazione con la moglie del narcos detenuto
NAPOLI. All’ombra delle Vele ci sono sgarri che non si possono perdonare. Ne erano più che convinti i capi del clan Abbinante, i quali, dopo aver appreso che uno dei propri affiliati, Luigi Rignante, aveva intrecciato una relazione clandestina con la moglie di uno degli storici capipiazza della cosca, Luigi Mari, attualmente detenuto, avevano deciso di eliminarlo e farne sparire il cadavere. L’assassinio era stato deciso ed era stata persino scavata la fossa dove occultare il cadavere: nelle campagne di Marano.
A salvare la vittima designata sono stati cinque provvedimenti di fermo disposti dalla Dda di Napoli ed eseguiti dalla Squadra mobile nei confronti di altrettante persone ritenute al vertice del clan Abbinante del rione Monterosa. I destinatari dei provvedimenti sono il boss Antonio Abbinante, suo nipote Raffaele e altre quattro persone: Antonio Esposito (figlio del boss Giovanni “’o muort”), Salvatore Morriale, Paolo Ciprio (l’unico dei sei inizialmente resosi irreperibile) e Arcangelo Abbinante, anche lui nipote di Antonio e, come Raffaele, elemento di spicco del clan. A quest’ultimo, preso a Villaricca, viene contestata l’associazione per delinquere di tipo mafioso, ma non il tentato omicidio, che invece, viene ritenuto sussistente per i restanti cinque. Stando a quanto emerso dalle indagini, condotte in tempi rapidissimi tra marzo e aprile scorsi, a pronunciare la sentenza di morte era stato il boss Antonio Abbinante, che si trovava ai domiciliari e che, secondo quanto emerso dall’attività investigativa, dopo la sua scarcerazione aveva irrigidito ulteriormente il tenore delle decisioni. Una guida, la sua, dove la linea del terrore era prevalente. Ed è proprio nell’ambito di questo giro di vite che lo storico ras del Monterosa avrebbe disposto l’omicidio dell’affiliato. Per “lavare” l’onore del suo uomo in carcere e scongiurare rivno fatto capire agli indagati di essere sulle loro tracce, con una serie di perquisizioni domiciliari che però non hanno sortito gli effetti desiderati. Ripresisi dalla sorpresa, infatti, gli indagati hanno ripreso a progettare l’omicidio, come nulla fosse successo.
La Dda e la Squadra mobile sono stati quindi costretti a decidere d’urgenza l’emissione e l’esecuzione dei fermi quando è saltato fuori che, tra Marano e Arzano si stava scavando anche la fossa che avrebbe doelazioni compromettenti, non ha esitato a decretare la morte di quello che veniva considerato l’amante della moglie del suo affiliato. La polizia e la Dda sono riusciti a intercettare l’intento ma in un primo momento non l’identità della futura vittima. E, infatti, è stato necessario un notevole e ulteriore sforzo investigativo per scoprire il nome del condannato a morte. Una volta acquisita l’identità, forze dell’ordine e magistratura hanvuto accogliere il cadavere della futura vittima. Rignante doveva essere infatti attirato in una trappola con la convocazione per un presunto incontro chiarificatore nel luogo dov’era stata preparata la fossa. Poi l’omicidio con un colpo di pistola alla testa e il seppellimento. Gli esecutori del delitto, su mandato di Antonio Abbinante, sarebbero dovuti essere Salvatore Morriale e Antonio Esposito. La data per il delitto era stata infine stabilita al 16 aprile.
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