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13 Luglio 2021 - 07:00
l ras Di Palma se la cava con 8 anni: ne rischiava più del triplo.Sedici condanne in primo grado, ma il pm voleva l’affondo
NAPOLI. Estorsioni a raffica per conquistare l’hinterland nord di Napoli, i nuovi esponenti del clan De Rosa tornano alla sbarra per la conclusione del processo di primo grado e quella a cui vanno incontro è una sentenza ben più favorevole di quanto lasciassero presagire i “pronostici” della vigilia. Se è vero infatti che tutti i sedici imputati sono statati condannati, lo è altrettanto il fatto che le pene inflitte dal giudice del rito abbreviato si sono rivelate di gran lunga inferiori rispetto a quanto invocato dalla pubblica accusa.
Questo, nel dettaglio, il verdetto emesso ieri pomeriggio: Domenico Di Palma (difeso dall’avvocato Luca Mottola), 8 anni e 8 mesi di reclusione a fronte di una richiesta di 26 anni; Mariano Aporta, 8 anni e 4 mesi a fronte di una richiesta di 24 anni; Luca D’Alterio, assolto; Christian Sigillo, 8 anni e 2 mesi; Vincenzo Denza, 13 anni e 4 mesi; Aldo Burp, 8 anni e 2 mesi; Vincenzo Conte, 8 anni e 4 mesi; Gennaro Marra, 8 anni e 6 mesi; Francesco Ferrigno, 8 anni e 4 mesi; Francesco Accetta, 8 anni; Davide Bevilacqua, 10 anni e 3 mesi; Agostino Ciccarelli, 10 anni; Raffaele Palma, 8 anni; Giovanni Ciccarelli, 10 anni; Antonio Bevilacqua, 8 anni; Raffaele Guerra, 8 anni. Del collegio difensivo facevano parte, tra gli altri, anche gli avvocati Domenico Dello Iacono e Vincenzo De Rosa. L’inchiesta che ha portato alla sbarra i sedici ras risale al dicembre del 2019, quando in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare finirono in manette altrettanti presunti aguzzini. L’indagine, che ha preso avvio in seguito ad alcune denunce di estorsione, è stata condotta, dal settembre 2018 al gennaio 2019, dalla stazione carabinieri di Qualiano e, secondo gli investigatori, ha permesso di dimostrare l’operatività dello storico clan De Rosa che, nonostante veda molti dei suoi esponenti di spicco da tempo detenuti, avrebbe continuato a esercitare il controllo del territorio attraverso nuove leve dimostratesi capaci di gestire le attività criminose.
Gli inquirenti hanno documentato la compartecipazione degli indagati al gruppo criminale «capace di affermare la propria egemonia mafiosa sul territorio, anche attraverso la repressione violenta dei contrasti interni, la creazione di forme di cooperazione con altre organizzazioni e il controllo di tutti i traffici illeciti»; ma anche, e forse soprattutto, la commissione di estorsioni ai danni di imprenditori e commercianti della zona. Sono state infatti riscontrate decine e decine di episodi di racket ai danni di operatori commerciali. Tuttavia proprio alcune delle vittime, nonostante la comprensibile paura, avevano trovato il coraggio di rivolgersi alle forze dell’ordine per denunciare il baratro di violenza e minacce nel quale erano precipitate. L’inchiesta, oltre alle tradizioni attività investigative di natura tecnica, ha dunque preso piede anche grazie a quelle minuziose deposizioni. La Procura antimafia, certa di aver costruito un impianto accusatorio inattaccabile, in sede di requisitoria aveva dunque invocato oltre due secoli di carcere per i sedici imputati. Il giudice del rito abbreviato non ha però accolto del tutto l’impostazione accusatoria, infliggendo ai presunti aguzzini del clan De Rosa pene inferiori rispetto a quanto chiesto dal pm. Emblematico, tra gli altri, il caso del presunto ras Domenico Di Palma, ritenuto l’indiscusso re delle estorsioni, che l’è cavata con meno di nove anni a fronte di una richiesta di ventisei.
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