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Agguato senza il consenso: «Il boss gli spaccò la testa»

Agguato senza il consenso: «Il boss gli spaccò la testa»

I VERBALI INEDITI I pentiti: «“’O mellone”, uomo vicino a Siniscalchi, fu massacrato». La furia di Antonio Lo Russo dopo il tentato omicidio di Ciro Imperatrice

NAPOLI. «Lo prendemmo di faccia, lo bloccammo e Tonino, senza dare spiegazioni, scese dal motorino. Lui e Salvatore Silvestri gli ruppero la testa». Il tribunale della camorra aveva emesso la propria sentenza: nessuno a Miano poteva compiere un agguato senza il consenso del clan dei “Capitoni”. L’allora boss Antonio Lo Russo, appreso del tentato omicidio di Ciro Imperatrice, aveva quindi deciso di dare subito una lezione all’affiliato ritenuto responsabile del raid, il capozona Vincenzo Siniscalchi. Non essendo però riuscito a rintracciare subito quest’ultimo, decise quindi di “rivalersi” su piccolo delinquente della zona considerato vicino al “ricercato”. È uno spaccato da brividi quello che emerge dalla ricostruzione delle fibrillazioni scaturite nelle ore immediatamente successive all’agguato che nel maggio 2008 è quasi costato la vita a Ciro Imperatrice. Per quella vicenda, come riportato ieri dal “Roma”, è stato adesso arrestato Marco Corona “’o cinese”, mentre è Vincenzo Siniscalchi è indagato a piede libero. La vittima venne ridotta in fin di vita in quanto responsabile materiale insieme a Giuseppe Tipaldi del pestaggio della persona “sbagliata”: un macellaio che aveva trovato in compagnia della propria fidanzata, sorella di Peppe “’a recchia” e figlia del ras Gaetano Tipaldi. Incassate le botte, il commerciante passò però subito alle vie di fatto chiedendo all’amico ras Siniscalchi di vendicarlo. Sparsasi la notizia del ferimento di Imperatrice, i massimi vertici del clan andarono immediatamente su tutte le furie. A ricostruire quelle fasi di pura violenza è oggi il pentito Antonio De Simini, ex uomo dei Lo Russo: «Vennero da noi Marco Corona, Lello Stravato e Vincenzo Siniscalchi e ci raccontarono quello che avevano fatto. Tonino Lo Russo, che noi chiamavamo “’o ginocchio” perché è stempiato, venne da noi per sapere dove stavano Corona e il fratellastro (Stravato, ndr), mentre a Enzo Siniscalchi non gli avrebbe fatto niente perché era della famiglia». Fissato l’incipit, il pentito ha quindi parlato della successiva spedizione punitiva: «Mi misi sul motorino e andammo a San Rocco, dove più o meno potevamo trovarli, e prendemmo di faccia uno che fa le rapine, “’o mellone”. Lo prendemmo di faccia, lo bloccammo e Tonino, senza dare spiegazioni, scese dal motorino, lui e Salvatore Silvestri, e gli ruppero la testa. Questo ragazzo stava insieme a Vincenzo Siniscalchi, ma non partecipò all’agguato. Antonio Lo Russo lo picchiò selvaggiamente in mezzo alla strada e lui “non lo so dove stanno”. Cercava Lello Stravato e Marco Corona, poi Siniscalchi lo acchiappò ma non gli fece niente perché era il cognato di Peppe (Lo Russo, ndr) e non si poteva fare». L’episodio è stato in seguito riferito anche dall’ex killer Mariano Torre: «Tonino Lo Russo si arrabbiò per l’iniziativa di Siniscalchi, con cui già non andava d’accordo e se la prese con “’o mellone”, un ragazzo del nostro gruppo legato a Siniscalchi, che picchiò. Alla fine fu Enzo “’o signore” (Vincenzo Lo Russo, ndr) a risolvere la situazione con Tonino mettendo una buona parola. Però Achille (il macellaio, ndr) chiuse e lasciò il quartiere».

In foto: i collaboratori di giustizia Antonio Lo Russo, Mariano Torre e Antonio De Simini

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