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05 Agosto 2021 - 08:06
Il super pentito tira in ballo il figlio del ras Mario: «Seppi che fece la “filata”, volevo ucciderlo»
NAPOLI. Alfonso Mazzarella era un “morto che cammina”. Nella primavera del 2015 lo scontro armato tra la storica cosca di San Giovanni e i rivali del cartello Rinaldi-Reale aveva raggiunto l’apice della violenza. Non a caso l’allora boss si era ritrovato, per due volte in pochi mesi, a finire nel mirino del gruppo della “46”. Proprio Mazzarella, da qualche anno passato tra le fila dei collaboratori di giustizia, ha però contribuito in maniera determinante all’individuazione degli uomini del commando. Sul punto, ecco quanto messo a verbale il 18 gennaio 2015: «Nei pochi mesi in cui sono tornato in libertà ho subito due attentati, uno sotto al mio palazzo a opera di Giovanni Di Pede e Michele Minichini del clan Rinaldi, i quali una settimana prima avevano tentato di ammazzare Carmine Improta, altro affiliato storico ai Mazzarella; il secondo attentato l’ho subito, sempre a San Giovanni e sempre sotto al mio palazzo, a opera di Raffaele Maddaluno e di Giovanni Di Pede». Alfonso Mazzarella, che certo non era uno di primo pelo, incassato il colpo, era comunque passato al contrattacco: «Io - ha spiegato agli inquirenti della Dda - tentai poi di ammazzare, con la collaborazione di Vincenzo Cozzolino, Pasquale Reale, dal momento che seppi che era stato il filatore del primo attentato nei miei confronti. Tuttavia sparammo ma non riuscimmo a colpirlo».
Una stagione di drammatica violenza per il quartiere della periferia orientale di Napoli, la cui cifra viene a pieno restituita dalla descrizione di un singolare episodio riportato all’interno delle quasi novecento pagine del provvedimento eseguito pochi mesi fa. Il 5 maggio del 2015, giorno dell’agguato teso contro Alfonso Mazzarella, la polizia viene informata dell’accaduto e avvia un’indagine lampo. Scattano così alcune perlustrazioni nelle zone calde del quartiere e presso l’abitazione del ras Salvatore Donadeo “’o pozzolent” viene notata la presenza di un gran numero di pregiudicati. All’arrivo della volante scatta dunque il fuggi fuggi generale. Gli agenti non si perdono comunque d’animo e raggiungono l’abitazione del capozona. Entrati in casa trovano dunque Salvatore Donadeo, Giuseppe Cozzolino, Gennaro Cozzolino, Vincenzo Cozzolino, Pasquale Troise “’o scarparo”e Salvatore Novellino. Ascoltato in via esplorativa dai detective della Polstato,
Salvatore Donadeo, che indossava un giubbino antiproiettile temendo forse un imminente agguato, «dichiara spontaneamente che l’obiettivo era Vincenzo Cozzolino». Quest’ultimo, presente alla conversazione, ha poi confermato la circostanza e spiegato che «nei giorni precedenti era stato compiuto un agguato nei confronti di Alfonso Mazzarella da perte di esponenti del clan Reale-Rinaldi». Da allora sono passati ben sei anni, ma gli uomini in divisa non hanno mai mollato la prese e così alla fine le indagini su quella stagione di piombo sono arrivate all’agognato punto di svolta. Allo sviluppo dell’inchiesta hanno contribuito anche numerosi collaboratori di giustizia eccellenti, come Umberto D’Amico “’o lione” (nel riquadro), Luigi Gallo, Gaetano Nunziato, Claudio Esposito, Giorgio Sorrentino, Vincenzo Amirante, Rocco Capasso, Tommaso Schisa e Cristiano Piezzo.
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