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10 Agosto 2021 - 07:00
Si allunga la lista degli indagati dopo l’arresto di Ronga e Isaia. Dietro il raid un debito di 125mila euro, c’è l’ombra del clan Balzano
NAPOLI. Il gruppo di “abbasc Miano” torna a mostrare i muscoli dopo il recente azzeramento del rivale clan Cifrone. Sarebbe questo il contesto nel quale tre giorni fa è maturata la cattura di Luca Isaia, 40 anni, e Salvatore Ronga, 38 anni, arrestati in flagranza di reato con l’accusa di tentata estorsione aggravata dal metodo e dalla finalità mafiosa. Dalla richiesta di convalida avanzata dal pubblico ministero, e che il “Roma” ha avuto modo di consultare, si scopre però che nel raid sono coinvolto anche altre tre persone che per il momento restano indagate a piede libero: Giuseppe Romano, 41 anni, Pasquale Scognamiglio, 53 anni, e Giovanni Scognamiglio, 29 anni. Dal documento emergono poi un’ulteriore serie di inediti dettagli, a partire dell’obiettivo della spedizione estorsiva: il bar “Caffè Europa” di via Napoli Roma verso Scampia. Tra l’altro è proprio grazie alla testimonianza del titolare dell’attività che le indagini sono arrivate a una svolta.
Dalla lettura dei capi di imputazione si apprende infatti che il commando avrebbe preteso del commerciante la consegna di 125mila euro, suddivisa in rate da 5mila euro mensili, quale presunto residuo di un prestito di natura usuraria che il barista e la madre avevano contratto alcuni anni fa con l’indagato Giuseppe Romano. Quella che ne è scaturita è stata un’inscalabile montagna di debiti, alla quale hanno presto seguito diverse minacce, andate avanti a ritmo martellante dal 29 luglio fino al 7 agosto scorsi. Se dell’ultimo “blitz” si sono resi protagonisti Ronga (difeso dall’avvocato Rocco Maria Spina) e Isaia (difeso da Domenico Dello Iacono e Carlo Ercolino), nella prima occasione sarebbero stati invece “Pino” Romano e un cugino a presentarsi nel bar di Scampia, intimando al titolare di consegnare la cifra arretrata. In caso contrario sarebbe stato «massacrato di botte» e avrebbe «venduto il bar per finanziare la guerra e comprare le armi necessarie». Il tutto in presenza di altri quattro complicad oggi non ancora identificati. Il giorno successivo Romano, stavolta con Scognamiglio senior, torna alla carica e stabilisce che il debito doveva essere saldato in rate da 5mila euro mensili: se il commerciante non avesse pagato sarebbe subentrato come socio occulto del bar. Proprio in questo frangente emerge una circostanza singolare: la vittima spiega ai suoi aguzzini che parte del debito iniziale era già stata versata al gruppo Cifrone capeggiato dai cugini Gaetano e Luigi. Romano non vuole però sentir ragioni e precisa che «ormai i Cifrone non contano più nulla» e che in zona adesso comandavano loro.
Aggressioni e minacce erano però tutt’altro che finite. L’incubo è infatti proseguito anche nei giorni a seguire, con tanto di convocazione al cospetto del capozona e di avvertimenti rivolti alla madre del commerciante. In sede di denuncia il barista ha messo a verbale un riferimento che potrebbe rivelarsi molto utile per capire la collocazione criminale degli indagati: «Da quel momento a casa di mia madre si presentava regolarmente Pino Romano con altre persone che non conoscevo, minacciandomi che se non avessi firmato i documenti per la cessione del bar, sarebbero intervenuti esponenti delle organizzazioni criminali, ovvero “Peppe gnegnè” e “Sacchilotto”, cioè Giuseppe e Salvatore Scarpellini. Questi soggetti, che sono padre e figlio, non mi hanno però mai minacciato. Presumo quindi che Romano possa aver millantato la loro conoscenza e fatto i loro nomi solo per intimorirmi». Un’ipotesi sulla quale la Squadra mobile vuole vederci chiaro. L’ipotesi è che nonostante i recenti contraccolpi giudiziari subiti il clan Balzano-Scarpellini possa in realtà essere ancora attivo. Anzi, il gruppo di “abbasc Miano” potrebbe aver deciso di sfruttare a proprio favore il recente indebolimento dei Cifrone.
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