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Maria Licciardi in qualità di boss ottenne un prestito dai Polverino

Maria Licciardi in qualità di boss ottenne un prestito dai Polverino

Il denaro serviva per pagare le “mesate” alle famiglie dei detenuti. Lady camorra incastrata dalle dichiarazioni del pentito Giuseppe Simioli

NAPOLI. Cos’è cambiato nel breve periodo intercorso tra l’annullamento della misura cautelare a carico di Maria Licciardi e il nuovo provvedimento restrittivo, sostanzialmente con le stesse accuse, eseguito il 7 agosto scorso? La domanda è legittima e finora la risposta letta o ascoltata sui mass media è stata generica. In realtà c’è una spiegazione precisa, sotto forma di 2 elementi indiziari, e spulciando tra le carte dell’ordinanza emerge chiaramente: le dichiarazioni del neo collaboratore di giustizia Giuseppe Simioli e le ultime intercettazioni ambientali compiute nell’appartamento della donna boss di Secondigliano. Leggendo gli atti dell’inchiesta viene fuori che al clan Licciardi per un periodo limitato nel tempo serviva danaro liquido, da destinare a varie attività tra cui il pagamento delle “mesate” alle famiglie dei detenuti. Fu proprio Maria Licciardi, nella ricostruzione degli inquirenti della Dda, ad occuparsi in qualità di reggente dell’organizza zione in pianta stabile.

Ottenne un prestito dal clan Polverino e dal racconto di Giuseppe Simioli la pubblica accusa ha tratto la conclusione del rione di “capo e promotore” della donne al vertice della cosca con base nella Masseria Cardone. Nel fermo di Maria Licciardi, poi tramutato in ordinanza di custodia cautelare, sono poi contenute una serie di intercettazioni che appaiono agli occhi degli investigatori decisive per l’incriminazione della 70enne sorella del padrino Gennaro “’a scigna”, indagata per associazione di tipo mafioso, estorsione, ricettazione di somme di denaro di provenienza illecita e turbativa del regolare svolgimento di un’asta giudiziaria, reati aggravati dalle modalità mafiose. L’indagine, diretta dalla Procura della Repubblica di Napoli, ha evidenziato che la ras fin dal 2019 avrebbe progressivamente assunto la direzione della consorteria, gestendo le attività illecite attraverso disposizioni impartite, anche durante incontri e summit riservati, ad affiliati con ruoli di vertice e ai capizona ai quali erano affidate porzioni dell’area di influenza dell’organizzazione (Masseria Cardone, Don Guanella, Rione Berlingieri e Vasto). Ma, microspie a parte, la chiave per incastrarla è stata il pentimento di Simioli.

Ferma restando la presunzione d’innocenza fino all’eventuale sentenza definitiva e in attesa della decisione del Riesame, cui si è rivolto l’avvocato Eduardo Cardillo. Sotto il profilo delle sinergie operative, oltre ai rapporti con esponenti dei clan Contini, Vanella Grassi, Di Lauro e Polverino, sono state registrate le strette relazioni con i Mallardo di Giugliano. Le investigazioni hanno anche posto in luce un’attenta gestione della cassa comune da parte dell’indagata, che puntualmente provvedeva al sostegno delle famiglie degli affiliati detenuti per evitare eventuali pericolose defezioni collaborative. Sono state anche accertate condotte di natura estorsiva, tra cui l’intervento in occasione di un’asta giudiziaria riguardante la vendita all’incanto di alcuni immobili ubicati a Secondigliano, e le minacce rivolte da Maria Licciardi nei confronti di una donna ritenuta responsabile di aver sottratto un’ingente somma di danaro alla famiglia mafiosa.

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