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16 Ottobre 2021 - 18:02
NAPOLI. Un regolamento di conti tra esponenti della camorra di Miano. È questa l’ipotesi investiva alla quale stanno lavorando con sempre maggiore convinzione gli inquirenti che dovranno fare luce su quanto accaduto il mese scorso nel carcere di Frosinone, dove il giovane ras Alessio Peluso, dopo essere entrato in possesso di una pistola, ha sparato all’impazzata contro altri tre detenuti. Ebbene, tra le vittime del raid figura anche uno storico esponente del clan Lo Russo, gruppo al quale lo stesso Peluso è stato a lungo affiliato prima di transitare nella fila dell’emergente gruppo Balzano.
I pm titolari dell’indagine non escludono a questo punto che il vero obiettivo della sparatoria fosse dunque proprio il primo uomo, con il quale il 31enne di vicolo Cotugno potrebbe aver avuto più di un motivo di attrito. Intanto proprio ieri la Procura ha affidato ai Ris di Roma l’incarico di effettuare alcuni accertamenti tecnici non ripetibili sull’arma utilizzata da Peluso, una Bernardelli calibro 7,65, sui 14 proiettili e sui cinque bossoli repertati sulla scena, al fine di individuare eventuali tracce biologiche e impronte digitali. Il capozona di Miano è stato intanto da alcune settimane trasferito nella casa circondariale di Rebibbia, dove rimarrà in stato di isolamento fino alle nuove disposizioni del giudice e del ministero.
Il 28enne del clan Balzano, che si trovava già all’Alta sicurezza, rischia adesso di andare incontro a un regime detentivo ancora più severo: il carcere duro. Le indagini sul caso sono intanto ancora in corso e, stando a quanto emerso dalle prime battute dell’inchiesta, il raid sarebbe stato scaturito da un contrasto di natura personale intercorso tra Peluso e i tre rivali. Al netto del movente, resta poi da capire chi abbia armato la mano del 28enne ras. La pistola utilizzata per far fuoco è stata infatti recapitata a “’o nir” con un drone: un espediente a dir ingegnoso, sul quale gli inquirenti vogliono però adesso vederci chiaro.
Peluso era del resto in possesso di un telefonino dotato di sim e proprio grazie a quel dispositivo ha avuto modo di contattare senza grossi problemi il proprio fornitore. Il cellulare è stato sequestrato, mentre la scheda è andata distrutta nel momento in cui Peluso l’ha ingerita: dall’analisi del dispositivo e delle celle telefoniche presenti in zona potrebbero dunque emergere ulteriori elementi utili allo sviluppo dell’inchiesta. Sebbene il primo complice sia già stato individuato e denunciato - si trattava di un uomo della zona - gli inquirenti sono quasi certi che la pistola sia partita da Napoli e che il drone sia stato poi caricato in una zona non distante dal penitenziario: per questo motivo sono state acquisite le immagini registrate da alcune telecamere della zona che potrebbero aver inquadrato il momento in cui il corriere è arrivato nei dintorni dell’istituto.
Pesante l’accusa di cui Peluso dovrà adesso rispondere: triplice tentato omicidio per avere sparato nei confronti di altrettanti detenuti, due napoletani e un albanese. I colpi partiti da una calibro 7,65 matricola abrasa ed entrata nel penitenziario di via Cerreto con l’ausilio di un drone, hanno colpito alla coscia uno dei due campani. Gli altri sono riusciti invece a schivare i colpi. Le indagini sul gravissimo episodio sono portate avanti dal magistrato Adolfo Coletta della Procura di Frosinone e dagli investigatori della Squadra mobile locale. Peluso è stato intanto trasferito a Rebibbia, mentre la posizione degli altri coinvolti resta al vaglio.
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