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26 Ottobre 2021 - 07:00
Per i pm il “mausoleo” al 19enne ucciso è stato un abuso verso i condomini.Indagini concluse, i genitori di Emanuele Sibillo verso il rinvio a giudizio
NAPOLI. Il “mausoleo” dedicato al babyboss Emanuele Sibillo, il capo indiscusso della paranza dei bambini assassinato il 2 luglio del 2015, non è stato un semplice, innocente omaggio dei familiari. È stato invece - almeno secondo la ricostruzione della Procura - un vero e proprio atto di arroganza camorristica, con il quale la famiglia del defunto 19enne ha imposto la propria “presenza” all’intero condominio di via Santi Filippo e Giacomo 26. A distanza di sei mesi dalla rimozione dell’altarino, i responsabili di quell’azione sono stati oggi individuati in Vincenzo Sibillo e Anna Ingenito, i genitori di “Es172, per i quali i pm Mozzillo e Carrano hanno appena disposto la conclusione delle indagini preliminari. Pesante come un macigno l’accusa di cui entrambi dovranno rispondere: estorsione aggravata dal metodo e dalla finalità mafiosi. Quel palazzo nel cuore dei Decumani è ormai da tempo considerato la roccaforte del clan Sibillo, un gruppo che, nonostante gli arresti e le condanne subite in questi ultimi anni, continua ancora a fare paura sull’intero territorio del centro storico.
E di paura devono averne avuta parecchia anche gli inquilini dello stabile, che per sei anni, già dopo l’assassinio di Emanuele, hanno dovuto accettare la presenza dell’altarino, con tanto di edicola votiva e mezzobusto, dedicato al giovanissimo ras ucciso dai rivali del clan Mazzarella-Buonerba. Sul punto, la ricostruzione della Dda è impietosa. Sibillo senior e consorte, «in concorso tra loro e con altre persone in via di identificazione, facendo valere l’appartenenza al clan Sibillo e avvalendosi della forza intimidatrice derivante dal clan, tale da rendere superfluo qualsiasi avvertimento mafioso nei confronti dei condomini dell’immobile, appropriandosi illecitamente di uno spazio condominiale del cortile e realizzando su di esso un manufatto in alluminio, chiuso a chiave e a loro in uso esclusivo, nel quale collocavano l’urna cineraria di Emanuele Sibillo, costringevano i condomini e i proprietari a subire la spoliazione del diritto di comproprietà e di uso della cappella votiva, peraltro illuminata a spese del condominio, nonché della concreta disponibilità dello spazio abusivamente occupato».
L’epilogo al quale i pm approdano è dunque il seguente: l’azione sarebbe avvenuta «approfittando delle condizioni di omertà, paura e assoggettamento ingenerati nelle persone offese dalla loro nota appartenenza al clan Sibillo, articolazione del sodalizio facente capo a Eduardo Contini e ai gruppi federati nell’Alleanza di Secondigliano». Chiuse le indagini preliminari, Vincenzo Sibillo e Anna Ingenito rischiano ora di andare sotto processo. Sul punto, la difesa, rappresentata dall’avvocato Dario Carmine Procentese, è pronta però a dare battaglia: «Provo un profondo senso di sgomento e di amarezza. Ritengo che l’accusa non sia adeguatamente sorretta sotto un profilo probatorio, ma la stessa anche sproporzionata rispetto ai reale disvalore del fatto. Sono pronto a dimostrare l’innocenza dei miei assistiti».
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