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31 Maggio 2017 - 09:15
Adolfo è un 50enne travolto dalla crisi. Gli immigrati hanno chi li accoglie ma lui non ha più casa né lavoro. Vive di elemosina a Pompei, ma chiede di poter ricominciare per riconquistare la sua dignità
TORRE ANNUNZIATA. Afferma di essere di Rovigliano, indossa abiti molto umili, una camicia a quadri e un pantalone da mercatino. I sandali scoprono le dita dei piedi dalla pelle squamata, una caratteristica che hanno in comune tutti gli homeless. Adolfo, un 50enne, ex piccolo imprenditore, ora non ha più nulla, nemmeno un luogo dove dormine. Stringe tra le mani le foto di una bella bambina e di un bambino. Sono i suoi figli che non vede da più di un mese. Lo racconta tenendo gli occhi bassi. Non vuole compassione, anzi, ciò che rimpiange è di avere perso la dignità, insieme con il lavoro, e la possibilità di dare un nido ai suoi bambini.
PIU' POVERO DI UN IMMIGRATO. Subito viene da paragonare la sua condizione con quella di tanti immigrati che giustamente ricevono assistenza: un luogo dove dormire e un pasto caldo. C'è chi discute di dirtitto al ricongiungimento e al lavoro. Ma chi pensa ad Adolfo?
IL CRAC AZIENDALE. «Due anni fa la mia ditta è fallita, vendevo porte - comincia a ricordare - Mia moglie trovò un’occupazione come badante di un anziano. Non dissi di no, se lei riusciva a guadaganre qualcosa, come potevo oppormi? Anche se quell’impiego lo doveva svolgere andando a vivere nella casa del suo assistito».
Per Adolfo, che già viveva la difficile condizione di disoccupato, arrivò poi la seconda mazzata. «Mia moglie ha intrecciato una relazione con l’anziano per il quale stava lavorando - racconta - Cosa potevo fare? Ci siamo separati...».
Una separazione che ha comportato la perdita dei bambini, perché ormai Adolfo non possedeva alcun reddito per mantenerli. Né la moglie poteva tenerli con sé nell’abitazione dell’uomo anziano del quale si occupa.
HO DOVUTO ACCOMPAGNARE I MIEI BAMBINI IN UNA CASA FAMIGLIA. «Io, ormai senza casa e senza prospettive occupazionali, senza reddito né alcun familiare sul quale poter contare - aggiunge Adolfo - ho dovuto accompagnare i miei figli nella casa-famiglia di Cava de’ Tirreni, dove almeno hanno un letto e un piatto caldo».
«Io ero figlio adottivo e i miei genitori sono morti, non ho più dove stare - si confessa l’uomo, mentre continua a stringere le foto dei bambini tra le mani - Dormo dove capita. Ho passato qualche notte in un vagone della ferrovia. Qualche volta sono stato in un ricovero per senzatetto. Ho anche potuto vivere per qualche mese presso un sacerdote, che mi ha dato un letto dove stare. Poi non è stato più possibile, perché quella sala doveva essere ristrutturata e sono dovuto andar via. Un piatto caldo si trova. Ma mi umilia molto dover chiedere l’elemosina ai preti per poter comprare un pezzo di pane».
DORMO DOVE CAPITA, MA È DIFFICILE TROVARE DOVE LAVARMI. Tace e pensa, poi solleva lo sguardo e spiega: «Però, sa che cosa è più difficile nella mia condizione? - rivela - È la riceerca di un luogo dove lavarmi la mattina. Posso arrangiarmi a dormire là dove capita... ma ho bisogno di lavarmi e questa è davvero un’impresa». Se qualcuno può aiutare Adolfo, cerchi il sacerdote don Salvatore D’Antuono di Pompei. Adolfo non ha un telefonino, non ha una dimora. Il suo unico riferimento sono i sacerdoti della basilica di Pompei. Chiede di lavorare. Chi può fare qualcosa, non esiti.
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