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15 Dicembre 2021 - 07:00
Stangata per i fratelli Abbinante, ma anche per il pentito Rosario Pariante. Cassazione-bis senza sconti, rigettati tutti i ricorsi degli ex Di Lauro
NAPOLI. La Cassazione rappresentava per loro l’ultima spiaggia. Eppure, nonostante il precedente annullamento disposto dalla Suprema Corte, il copione non è cambiato. I registi della faida di Mugnano, l’atroce guerra di camorra che negli anni Novanta fece da apripista alla successiva faida di Scampia, incassano il rigetto dei ricorsi e per loro la condanna alla pena dell’ergastolo diventa definitiva. Carcere a vita, dunque, per i capiclan e killer Antonio Abbinante, Guido Abbinante, Raffaele Abbinante, Massimiliano Capasso, Carmine Minucci e per il collaboratore di giustizia Rosario Pariante. Gli Ermellini della quinta sezione hanno confermato anche la condanna inflitta al ras Raffaele Amato, il quale, difeso dagli avvocati Domenico Dello Iacono e Sara Luiu, nell’appello-bis era stato l’unico imputato a ottenere il ridimensionamento della condanna a 24 anni di reclusione. Il boss degli Scissionisti evita così la stangata. Con il verdetto prunciato dalla Corte di Cassazione cala il sipario su una delle pagine criminali più drammatiche che si sia mai abbattuta sulla periferia nord di Napoli: in quella guerra, vale la pena ricordarlo, furono assassinate anche alcune donne, come Elena Moxedano (delitto attribuito al clan Abbinante) e Angela Ronga, con il solo scopo di far uscire allo scoperto i ras avversari. La faida di Mugnano scoppiò all’inizio degli anni Novanta e ha portato decine e decine di morti. Da una parte c’era il clan Di Lauro (dal quale non si erano ancora scissi gli Amato-Pagano) con i Girolamo e dall’altra i Ruocco.
La guerra era scoppiata per il controllo della zona di Mugnano. Gli imputati, all’epoca, erano tutti appartenenti a un unico clan. Uno scontro feroce, consumatosi prima della scissione del 2004, la guerra che dopo poco scatenò la sanguinosa faida di Scampia, con 84 morti ammazzati nel giro di due anni. Tra gli omicidi ricostruiti ci sono quelli di due donne: Elena Moxedano, moglie di Sebastiano Ruocco, fratello del capoclan nemico Antonio, avvenuto il 19 ottobre del 1991; e Angela Ronga, madre di Antonio Ruocco detto “’o capececcia”, poi passato nella fila dei collaboratori di giustizia. Il delitto più efferato fu però quello di Alfredo Negri, che fu torturato in una cantina e bruciato vivo il 27 luglio del 1992. L’inchiesta si era basata sulle dichiarazioni degli allora nuovi collaboratori di giustizia, tra cui Antonio Prestieri, Antonio e Francesco Pica, Giuseppe Misso soprannominato “’o chiatto”. Collaborazioni, queste, alle quali si sono aggiunte anche quelle dello zio Giuseppe detto “’o nasone”.
L’inchiesta aveva consentito di fare luce anche su altri clamorosi delitti, come il tentato omicidio di Antonio Ruocco e Giuseppe Vallefuoco (avvenuto nel giugno 1991); dell’omicidio di Elena Moxedano, e del tentato omicidio del marito Sebastiano Ruocco, fratello del collaboratore di giustizia Antonio, (19 ottobre 1991); del duplice omicidio di Annibale Cirillo e Luigi Pirozzi, (25 marzo 1992); dell’omicidio di Biagio Ronga, zio di Antonio Ruocco, (16 maggio 1992); dell’omicidio di Angela Ronga, madre di Antonio Ruocco, (25 maggio 1992); dell’omicidio di Alfredo Negri, che aveva affiancato Ruocco nella faida
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