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L’astrofisica che l’Italia rischia di perdere

L’astrofisica che l’Italia rischia di perdere

La napoletana Mariafelicia De Laurentis che ha fotografato il buco nero: «Io delusa, il nostro Paese è provinciale con i ricercatori». Ma a breve saranno rivelate alla comunità scientifica nuove scoperte sul buco nero Sagittarius A* e Napoli - con lei - aspira a entrare nella storia dei Nobel

NAPOLI. Da bambina voleva “entrare nella mente di Dio”, Mariafelicia De Laurentis (nella foto) è diventata astrofisica per “capire”: «Volevo dare spiegazioni dell’opera di questo grande Creatore e comprendere di più, attraverso le equazioni e l’osservazione». Per ora, ha “solo” potuto “guardare in faccia” - lavorando con una equipe di ricercatori mondiale - un corpo celeste del quale gli scienziati parlavano, dimostrandone l’esistenza con formule matematiche sulle inspiegabili modifiche gravitazionali intorno a punti oscuri dell’Universo. Poi, finalmente, il buco nero è stato fotografato nel 2019 e quell’immagine è diventata la “foto del Millennio”. A breve, sarà mostrata ufficialmente alla comunità scientifica una nuova visione dello stesso sconvolgente oggetto celeste: il buco nero “Sagittarius A*”, studiato in sinergia tra 300 scienziati di tutto il mondo, scoperta che potrebbe valere un Premio Nobel.

Ma l’Italia e l’Università degli studi di Napoli, saranno menzionate in questo traguardo?

«Beh, me lo auguro. Sono tornata nel 2018 come professore associata di Astronomia e Astrofisica della Federico II, chiamata dall’allora Rettore Gaetano Manfredi che, quando scesi dall’aereo, mi diede il benvenuto nella mia città, con una telefonata che non mi aspettavo. Credetti che qui da noi le cose fossero cambiate. Ero felice di poter lavorare nella mia Napoli, per l’Università dove mi ero laureata. Oggi, però, devo affermare che sbagliai a rientrare, l’Università in Italia è rimasta un po’ provinciale, non si punta alle eccellenze. Quel che manca è lo spirito di squadra: ognuno lavora per sé e a volte sembra che dia persino fastidio chi lo fa in ambito internazionale».

Il suo giudizio è allarmante, rischiamo di perderla? Potrebbe andare via dall’Italia?

«Sto aspettando delle risposte, deciderò tra qualche mese».

Esplorando la “Logica di Dio” che cosa ha imparato?

«Confrontandosi con l’immensità dell’Universo, per prima cosa ci si ridimensiona. Si impara quanto sia indispensabile la connessione tra gli astri e le leggi che ne regolano la vita. E come Lui sia anche nella connessione tra le persone, nel rispetto, nel dono che fa progredire la conoscenza. Ho imparato che tutto questo vale anche nel modo di lavorare, con onestà, facendo squadra, sviluppando sinergie. È così che si ottiene di più».

Lei si occupa di Teorie relativistiche della gravità. Ebbene, questi studi richiedono molti investimenti, ma quanto incidono poi nella pratica quotidiana?

«È la domanda che mi fanno spesso i giovani. La ricerca ha il vantaggio di trovare sempre campi di applicazione pratica. Ad esempio, noi usiamo algoritmi per la migliore definizione delle immagini a distanze astronomiche. Queste definizioni di immagini si sono rivelate utilissime nella medicina e nella cardiologia».

Come spiegherebbe il suo compito di astrofisico ai giovani?

«Amo definirmi un’archeologa dell’Universo. Come un archeologo cerca di capire la storia attraverso i reperti più antichi, anche nel mio lavoro analizzo “oggetti” dello spazio che arrivano dal passato, come la luce e le immagini delle stelle, che giungono a noi quando non esistono più, ma ci aiuteranno a formare un puzzle con il quale cerchiamo di comprendere l’evoluzione e la storia dell’universo».

E il “buco nero” cos’è?

«È un corpo celeste che si comprime fino a diventare piccolissimo. Diventa così una “regione spazio-temporale” con un campo gravitazionale talmente forte da attrarre tutto: polvere, gas, plasma. Ciò che entra al suo interno non può uscire più, nemmeno segnali, luce, nulla. Ecco perché non è visibile».

Ma voi lo avete fotografato…

«In realtà abbiamo fotografato l’ombra del buco nero, catturando la radiazione di materiale attirato in esso che si surriscalda e, grazie a una rete globale di radiotelescopi siamo riusciti a ottenere un’immagine del M87».

Ha mai pensato di scrivere un libro su questa meravigliosa avventura di donna napoletana, figlia di una professoressa di latino e di un capostazione, diventata astrofisica?

«Sì, lo sto scrivendo. E non sono sola in quest’avventura. C’è anche mia sorella Martina, che è un fisico sperimentale che si occupa di ottica quantistica. Ed è divertente che, siccome lavoriamo in progetti diversi, talvolta anche in competizione, tra noi non ne possiamo parlare, perché sono notizie sempre sottoposte a embargo».

Due sorelle, due studiose di orizzonti infiniti…

«E saranno proprio gli orizzonti a fare da filo conduttore al mio libro... quando riuscirò a finirlo: sarà un excursus sui diversi tipi di orizzonti». 

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