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12 Gennaio 2022 - 07:00
Faida di Fuorigrotta, la 7,65 trovata accanto al cadavere dell’affiliato agli Iadonisi non è stata usata quella notte
NAPOLI. Non aveva sparato la pistola trovata il 1 gennaio scorso nei pressi del luogo dell’agguato a Salvatore Capone, ultima vittima della faida di Fuorigrotta. Gli accertamenti tecnici lo hanno escluso, ma il giallo della “7,65” resta per il momento in piedi. Ancora non è chiaro se l’arma fosse nella disponibilità della vittima, che l’avrebbe perduta mentre cercava disperatamente di fuggire o di uno dei sicari entrati in azione, sicuramente non dell’esecutore materiale dell’omicidio: infatti i bossoli repertati in via Leopardi sono di calibro diverso.
Così come, purtroppo, non ci sarebbero impronte digitali utilizzabili sulla “Beretta”. A parte il mistero sulla pistola trovata a terra, le indagini hanno ormai preso una sola direzione: la guerra tra i Troncone di Fuorigrotta e i Sorianiello del rione Traiano, alleati dei Cesi-Iadonisi del rione Lauro. A quest’ultimo gruppo era legato Salvatore Capone, che secondo gli investigatori anticamorra più esperti era diventato un bersaglio in quanto i nemici di camorra ritenevano che avesse partecipato all’omicidio di Andrea Merolla o al grave ferimento dello zio Vitale Troncone, il ras del clan tuttora in ospedale per le conseguenze dell’agguato. Comunque, va sottolineato, non c’è alcun elemento concreto che indichi la partecipazione del 42enne ai raid con cui è apparso chiaro il retroscena della guerra: il controllo di Fuorigrotta per le estorsioni, soprattutto, e il traffico di droga sia statico che dinamico (piazze di spaccio o consegna a domicilio). Che Salvatore Capone fosse finito nel mirino è dimostrato da un episodio in particolare. Nei giorni precedenti alla sua morte erano stati notati due motociclisti armati nella zona del “Serpentone”, in via Leopardi a Fuorigrotta. Probabilmente gli stessi che nella notte di Capodanno hanno ucciso il 42enne nei pressi della sua abitazione, dando continuità all’accelerazione della faida tra i Troncone e i Cesi-Iadonisi. Anch’egli, come il ras Vitale il 23 dicembre scorso, è stato centrato al volto dai killer: circostanza che gli investigatori non credono sia una coincidenza. Ce n’è abbastanza per preoccuparsi del futuro. Polizia, carabinieri (che indagano con il coordinamento della Dda) si trovano di fronte a un quartiere in fibrillazione, le cui conseguenze arriverebbero pure alle zone limitrofe. Ma se fino a ottobre scorso la faida procedeva lentamente, a novembre si è verificata una brusca accelerazione.
Non poteva essere diversamente perché il 10 del mese in via Caio Duilio è stato ucciso Andrea Merolla, nipote e autista di Vitale Troncone. Poi è toccato a quest’ultimo subire un agguato che doveva essere mortale e che per puro caso non lo è stato, fino a quella che viene considerata dagli investigatori una vendetta: la morte violenta di Salvatore Capone. Il 42enne, oltre ad essere un fedelissimo degli Iadonisi del Rione Lauro, collegati al rione Traiano, si vedeva spesso nel quartiere Bagnoli nella zona controllata dagli Esposito capeggiati dal ras Massimiliano “’o scognato”, a loro volta legati all’alleanza di Secondigliano. Ecco perché tra le forze dell’ordine è scattato l’allarme rosso.
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