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21 Gennaio 2022 - 07:00
Omicidio dell’innocente Romanò, l’inchiesta torna al punto di partenza.La Corte d’assise d’appello scagiona per la terza volta il ras di Secondigliano
NAPOLI. Il super pentito non convince e l’ultimo “capo dei capi” si vede cancellare ancora una volta l’unico ergastolo che pendeva sulla sua testa. Il boss Marco Di Lauro non è stato il mandante dell’omicidio dell’innocente Attilio Romanò. Così ha stabilito la terza sezione della Corte d’assise d’appello di Napoli, chiamata a un nuovo pronunciamento, il terzo, dopo l’annullamento della sentenza di condanna disposto dalla Corte di Cassazione a giugno, ha scagionato il ras secondiglianese dalla pesantissima accusa. Accolte dunque le argomentazioni dei difensori di Di Lauro, gli avvocati Andrea Imperato e Gennaro Pecoraro, i quali hanno sostenuto e dimostrato la mancanza di riscontri alle accuse lanciate nei confronti di “F4” da alcuni collaboratori di giustizia, su tutti Vincenzo Lombardi. Marco Di Lauro in precedenza era stato condannato alla pena dell’ergastolo.
L’agguato datato 25 gennaio 2005 ha avuto diversi sviluppi giudiziari che hanno coinvolto i vertici del clan Di Lauro impegnati in quel periodo nella guerra con gli Scissionisti per il controllo di Scampia e Secondigliano. Marco Di Lauro era stato già condannato alla pena dell’ergastolo ma la Cassazione già una prima volta aveva annullato con rinvio la sentenza di secondo grado. Non solo, in precedenza sempre la Suprema Corte si era espressa negativamente anche sul piano cautelare, annullando l’ordinanza da cui il ras di Secondigliano era stato colpito. In un primo momento venne indagato anche il fratello di Di Lauro, Cosimo, capoclan fino al proprio arresto, scettro poi passato proprio a Marco. Fu il fratello minore, secondo i pentiti, a continuare la strategia stragista del fratello maggiore e provando a eliminare gli obiettivi militari della fazione avversa. Tra questi non c’era sicuramente Attilio Romanò, persona da subito risultata completamente estranea alle dinamiche criminali e uccisa per un drammatico scambio di persona. Il reale obiettivo del commando era infatti Rosario Pariante, elemento di spicco degli Scissionisti e successivamente diventato collaboratore di giustizia.
A entrare nel negozio di telefonia fu Mario Buono, alias “topolino”, che fece fuoco contro il giovane innocente:Buono, riconosciuto dai giudici come l’esecutore materiale del delitto, è stato l’unico fin qui condannato in via definitiva all’ergastolo. Romanò morì sul colpo e di lì a qualche tempo si sarebbe anche dovuto sposare. Per quell’atroce delitto Marco Di Lauro, inquadrato come il mandante dell’agguato, alla fine del 2019 è stato condannato alla pena dell’ergastolo, l’unico fino ad oggi rimediato da “F4”. Una tegola giudiziaria che il pronunciamento di ieri ha però letteralmente spazzato via. Di certo, come sostenuto e dimostrato dal tandem difensivo Pecoraro-Imperato, c’è che le accuse lanciate dai pentiti Lombardi, Capasso e Prestieri all’indirizzo del quarto figlio di “Ciruzzo ’o milionario” si sono rivelate imprecise, se non addirittura infondate. I veri mandanti del delitto Romanò restano così ancora ignoti.
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