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26 Gennaio 2022 - 07:00
NAPOLI. Venti di faida nella periferia est di Napoli, il commando di pistoleri del clan Aprea accusato di aver quasi ucciso nella scorsa primavera una ragazza innocente incassa quattro condanne al termine del processo di primo grado celebrato con il rito abbreviato. Il gup De Bellis ha inflitto cinque anni di reclusione a testa, oltre a una multa di seimila euro, a Luigi Aprea, detto “Gennaro” (nella foto a destra), Vincenzo Aprea (nella foto a sinistra), Giovanni Aprea e Fabio Falco. Il giudice ha dunque dato pieno accoglimento alle richieste di pena avanzate dal pubblico ministero in sede di requisitoria, che aveva infatti chiesto una condanna complessiva a venti anni. L’arresto dei quattro imputati era scattato alla fine dello scorso aprile, a pochissimi giorni di distanza dalla folle sparatoria nella quale era rimasta ferita Federica Mignone, un’incolpevole passante centrata a colpi di pistola mentre si trovava in strada in compagnia del proprio fidanzato. Alla base dell’imboscata armata, stando a quanto accertato dagli investigatori che hanno lavorato al caso, si celava l’eterna faida tra il clan Aprea, da qualche tempo federato al temibile cartello De Luca Bossa-Minichini-Casella di Ponticelli, e i rivali della famiglia Mazzarella.
Proprio nell’ambito di questo contrasto sarebbe maturata la decisione di eliminare Salvatore Borriello, un pusher della zona. Per motivi ancora oggi non del tutto chiariti l’obiettivo designato del raid è però entrato in rotta di collisione con i nuovi ras del clan Aprea: ad andarci di mezzo quel sabato è stata l’innocente Federica, colpita alla gamba sinistra da una pallottola vagante, mentre il suo fidanzato, Renato Iannacone, che in quel momento si trovava con lei all’incrocio tra via Serino e corso Buozzi è riuscito a cavarsela senza alcuna conseguenza.
Le indagini, affidate ai carabinieri di Poggioreale, hanno però rapidamente fatto il proprio corso e i presenti sicari - ferma restando la presunzione di innocenza fino all’eventuale condanna definitiva - sono stati assicurati alla giustizia in tempi stretti. Dalla lettura delle ventiquattro pagine del decreto di fermo si apprende infatti che i detective dell’Arma sono risaliti a quatto del commando grazie a una scrupolosa analisi delle immagini registrate da alcune telecamere della zona. Una in particolare ha inquadrato il momento esatto in cui i quattro indagati sono transitati sulla scena a bordo di due scooter, uno Yamaha “T-Max” e un Piaggio “Beverly”, pochi istanti prima della sparatoria. Non solo, nei momenti subito successivi al raid due dei presunti sicari sono addirittura tornati indietro per accertarsi delle condizioni di Federica che, ferita alla gamba, era già riversa al suolo in una pozza di sangue. Non si sarebbe trattato dunque di una semplice stesa, bensì di un vero e proprio agguato finalizzato all’eliminazione fisica di Salvatore Borriello. La conferma arriverebbe dal fatto che i colpi di pistola calibro 7,65 sono stati esplosi quasi tutti ad altezza d’uomo. Non a caso l’accusa formulata dal pm per i quattro è di triplice tentato omicidio. Imputazione che però in sede di Riesame è stata derubricata in quella, ben più lieve, di lesioni gravissime. Nonostante questo intoppo procedurale, la Procura antimafia è comunque riuscita a ottenere la condanna di tutti e quattro i presunti uomini del commando, che a questo punto vedranno la propria permanenza in carcere proseguire ancora per diverso tempo.
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