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10 Febbraio 2022 - 09:04
Le difese invocano il “ne bis in idem”, ma vince la linea della Dda
NAPOLI. Una nuova tegola giudiziaria si abbatte, tra le polemiche, sugli ultimi ras del rione Traiano. Il boss Francesco Puccinelli e gli scissionisti Salvatore Basile e Giuseppe Lazzaro ieri mattina hanno rimediato tre condanne tutt’altro che soft al termine del processo celebrato con il rito abbreviato. Il primo e il terzo hanno rimediato 12 anni di reclusione a testa, mentre il secondo se l’è cavata con 9 anni di carcere. Il verdetto pronunciato dal gup Aufieri ha però innescato forti fibrillazioni nel collegio difensivo, il quale aveva invocato il principio del “ne bis in idem”: in sostanza, i tre imputati sarebbero già stati processati e condannati per la stessa contestazione. La linea difensiva è stata portata avanti dagli avvocati Antonio Abet e Andrea Lucchetta per Francesco Puccinelli, Marco Bernardo per Lazzaro ed Elena Manzi per Basile “cozzeca nera”. I legali dei tre imputati hanno cercato di dimostrare che gli elementi raccolti dalla Procura erano in realtà gli stessi già impiegati nel precedente processo, quello scaturito dalla colossale retata del 2017.
L’unico elemento di novità sarebbe stato rappresentato dalle accuse lanciate dall’ex boss del clan Cutolo, Gennaro Carra, oggi collaboratore di giustizia, il quale non avrebbe però fornito indicazioni particolarmente circostanziate, soprattutto in merito al summit nel quale sarebbe stato deciso di assassinare Marco Zazo. Nel blitz che portato alla sbarra i tre erano tra l’altro rimasti coinvolti anche altri esponenti di punta della cosca della “38”, tra cui il ras Francesco Petrone e il figlio Salvatore Petrone, ma anche il rampollo Ciro Puccinelli. Per questi ultimi il tribunale del Riesame aveva però annullato l’ordinanza di custodia cautelare e, anch’essi processati con il rito abbreviato innanzi a un altro giudice, alla fine per loro era arrivata pochi mesi fa la clamorosa assoluzione. Nel caso di Francesco Puccinelli, Salvatore Basile e Giuseppe Lazzaro il gup è stato però di tutt’altro avviso, decidendo di dare pieno accoglimento alle richieste di pena avanzate dalla pubblica accusa. Puccinelli e Lazzaro hanno così incassato 12 anni di carcere, Basile 9 anni.
La partita non è però chiusa e il collegio difensivo presenterà sicuramente ricorso in appello, dove invocherà il riconoscimento della continuazione con la precedente condanna. Determinanti ai fini dell’ultima inchiesta della Dda si sono rivelate ancora una volta le informazioni fornite dal pentito Carra, ex numero due del clan Cutolo della “44” di via Marco Aurelio. Proprio l’ex ras, oltre a descrivere l’attuale ponte di comando della mala di Soccavo, ha raccontato dell’inedito scontro al vertice del clan Puccinelli. Un contrasto interno che ha visto protagonisti il boss Francesco Petrone e il figlio Salvatore, con quest’ultimo uscito vittorioso: «Con il clan Puccinelli - ha riferito Carra il 6 agosto 2019 - siamo alleati, ogni tanto ci sono però dei piccoli contrasti. Il clan Cutolo controlla la parte bassa del rione Traiano, i Puccinelli la parte alta. Con i Puccinelli facevamo riunioni una o due volte alla settimana. In realtà mi sono reso conto che a comandare il clan Puccinelli è Salvatore Petrone, detto “’o nano piccirill”, più carismatico del padre Francesco. Anzi, in un’occasione a cui sono stato presente, il figlio puntò la pistola in faccia al padre dicendogli “sei un drogato, non comandi niente”». Accuse pesanti come macigni, quelle lanciate dall’ex boss, che però, almeno fin qui, non sono riuscite a trovare un pieno riscontro in sede processuale.
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