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19 Febbraio 2022 - 13:03
NAPOLI. Estorsioni negli ospedali napoletani, la Procura antimafia dichiara concluse le indagini preliminari e per il gotha della camorra della zona collinare, cioè il clan Cimmino con base al Vomero e all’Arenella, il rinvio a giudizio è ormai dietro l’angolo. Oltre agli storici e nuovi capi della cosca, a rischiare grosso sono anche alcuni insospettabili imprenditori e pubblici ufficiali. L’atto è stato infatti notificato a ben 49 indagati, che da qui alle prossime settimane dovranno decidere, insieme ai propri legali, quale sarà la migliore strategia difensiva da seguire. Vista l’assoluta consistenza delle accuse mosse dalla Dda, la strada per loro resta al momento tutta in salita. Quello tra camorra, appalti e tangenti è un triangolo che da decenni avvelena l’imprenditoria napoletana e ha trovato conferma nell’inchiesta della Dda di Napoli, su indagini della Squadra mobile della questura partenopea, culminata a ottobre scorso in 48 misure cautelari: 36 arresti in carcere, 10 ai domiciliari e due divieti di dimora in Campania con cinque indagati a piede libero. Tra loro boss e luogotenenti, imprenditori, pubblici ufficiali e un sindacalista in pensione. Tutti tesi a mettere le mani su cinque ospedali cittadini: Cardarelli, Cotugno, Monaldi, Cito e Policlinico. Numeri da brividi, come dimostra anche il numero dei clan coinvolti, ben sette: Cimmino del Vomero-Arenella, Licciardi di Secondigliano, Frizziero della Torretta, Lo Russo e Cifrone di Miano, Ferraiuolo di Caivano e Moccia di Afragola. Per controllare gli appalti ospedalieri la camorra operava attraverso estorsioni e pressioni sulle imprese, contribuendo così ad affermare il controllo egemonico sul territorio e sulle attività economiche, lecite e illecite, del quartiere collinare. Personaggio centrale dell’inchiesta è Andrea Basile, destinatario della misura cautelare insieme alla moglie Anna Esposito, il quale reggeva il clan Cimmino da quando il boss Luigi finì dietro le sbarre. Ma secondo l’accusa quest’ultimo, grazie al figlio Franco Diego, continuava ad avere le mani in pasta. Così come nell’inchiesta sono finiti altri personaggi noti alle forze dell’ordine come Antonio Teghemie, indagato a piede libero e marito di Maria Licciardi (poi uscita dall’inchiesta), e Renato Esposito dello stesso clan; Salvatore Frizziero della Torretta. L’indagine coordinata dalla procura (pm Woodcock e Carrano) si regge su un anno e mezzo di indagini condotte dalla sezione Anticorruzione della Squadra mobile, avviate dopo le dichiarazioni di un imprenditore, precedentemente colpito da arresti per corruzione per la gestione di appalti al Cotugno, che ha raccontato agli inquirenti di essere stato costretto a pagare una tangente in più tranche, di 20mila euro, ad Andrea Basile. Gli approfondimenti investigativi hanno acceso i fari sul gruppo Cimmino-Caiazzo, legato all’Alleanza di Secondigliano e componente dell’asse che comprende altri clan. Nel mirino sono poi finiti gli imprenditori Marco Salvati, titolare di fatto della Croce San Pio, associazione per il trasporto degli infermi con ambulanze, Raffaele e Giuseppe Sacco, che operano nel settore della distribuzione del cibo negli ospedali, della movida e della ristorazione. «Il settore degli appalti ospedalieri cittadini - scrivevano i pm - ha sempre rappresentato per la criminalità organizzata fonte di consistenti introiti economici e costituisce il core business di tutti i gruppi criminali che si spartiscono i proventi delle estorsioni». Un copione che ha continuato a ripetersi.
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