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21 Febbraio 2022 - 07:00
IL CASO Il comando dell’organizzazione per discendenza: così la gestione delle cosche. In passato si diventava boss e luogotenenti per “meriti” sul campo
NAPOLI. Camorra familistica. La sociologia applicata alla malavita organizzata apre nuovi fronti investigativi, già in corso di esplorazione. I primi sono stati i ras della “Vanella Grassi” e il loro sembrava un caso più unico che raro. Invece con le ultime inchieste è emerso che anche il clan con base ai Decumani si è strutturato alla stessa maniera: il bastone del comando resta sempre in mano alla famiglia. Prima dai padri ai figli, poi dai fratelli ai fratelli e finanche ai cugini. È il caso di Giovanni Matteo e Giovanni Ingenito, cugini tra loro e di Pasquale Sibillo, così come a Secondigliano è avvenuto tra i Petriccione, Mennetta, gli Accurso e gli Angrisano. Con i Di Lauro la differenza, lieve, sta nel grado di parentela: negli ambienti di cupa dell’Arco e rione dei Fiori ci si è fermati al passaggio tra il genitore, il boss dei boss “Ciruzzo ’o milionario”, e i rampolli senza arrivare ai congiunti meno stretti. La circostanza non è insignificante per la gestione delle cosche né ai fini investigativi. Perché mette in risalto la netta differenza con le abitudini del passato, quando boss e luogotenenti si diventava soprattutto, se non esclusivamente, per “meriti” sul campo e non per discendenza. Ma il cambio di mentalità e la necessità di non far filtrare troppe notizie riservate, con il rischio di future collaborazioni con la giustizia sempre dietro l’angolo, hanno stravolto le vecchie regole interne. Prima della “Vinella” però, non si era mai arrivati ai cugini cooptati. Pure i Sibillo si sono sempre differenziati rispetto agli altri, come in occasione dell’“acquisto” della Maddalena dagli Amirante, avvenuto nel 2016. Un rione considerato al pari di un negozio da vendere, dopo la famosa operazione di giugno 2015 contro la “paranza dei bambini” passò di mano: dagli Amirante appunto, ai gruppo dei Decumani per 4.000 euro a settimana ed entrambi i gruppi malavitosi, alleati, si riorganizzarono di conseguenza. Ne ha parlato Vincenzo Amirante, capo del gruppo omonimo della Maddalena che nel 2017 ha cambiato vita passando dalla parte dello Stato. «Dopo la riorganizzazione della nostra associazione la zona della Maddalena passò sotto la gestione dei Sibillo. Noi Amirante ricevevamo una quota che doveva essere intorno ai 4.000 euro a settimana. Ma già la prima volta Corallo “’o cafone” mi portò solo 2.600/2.700 euro. La seconda volta vennero in 3 e si aggiunse “’o nannone” ossia Antonio Napoletano. La seconda volta me ne portarono soltanto 2.000. Io feci le mie rimostranze e mi risposero che dovevo parlare con Lino Sibillo, il quale però si negava».
Da sinistra: Pasquale Sibillo, Marco Di Lauro e Salvatore Petriccione
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