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24 Febbraio 2022 - 07:40
Omicidio Riccio-Gagliardi: «A sparare furono Petriccione e Malavita»
NAPOLI. Dopo una lunghissima militanza tra le fila di una delle cosche più sanguinarie della storia di Napoli, ha deciso, da pochissimi mesi, di dare un taglio al passato, puntando il dito contro i suoi (ormai ex) sodali. Massimo Molino, affiliato e sicario al servizio del clan Di Lauro, passa dalla parte dello Stato e con le sue scottanti dichiarazioni decide di fare luce su una drammatica pagina di camorra: la prima faida di Scampia e Secondigliano. Massimo Molino, volto noto agli investigatori antimafia per i suoi precedenti penali e per essere il cognato del ras Maurizio Maione, ha contribuito con le proprie rivelazioni a chiudere il cerchio intorno ai presunti mandanti e sicari dell’omicidio di Domenico Riccio e dell’innocente Salvatore Gagliardi, ammazzati con sei colpi di pistola in una tabaccheria di Melito la mattina del 21 novembre 2004, poche ore prima del brutale assassinio di Gelsomina Verde. Per il duplice delitto martedì pomeriggio sono finiti in manette il rampollo Ciro Di Lauro, figlio dell’indiscusso capoclan Paolo, Giovanni Cortese “’o cavallaro”, Ciro Barretta e Salvatore Petriccione “’o marenaro”.
Dopo quasi vent’anni di indagini al ralenti, la svolta sul caso è arrivata il 17 novembre scorso, quando Molino, fresco collaboratore di giustizia, ha reso una prima deposizione agli inquirenti della Dda. Accuse che sono andate a sommarsi alle precedenti sottoscritte dall’ex ras Salvatore Tamburrino: «Ciro Di Lauro - ha spiegato il neo pentito - ci disse che ci dovevamo affiancare, per fare la guerra, al gruppo di “Totore ’o marenaro”, nel quale c’erano Pasquale Malavita e Ciro Barretta “Cicciotto”». La vicenda viene quindi così ricostruita: «Un giorno “’o marenaro” ci mandò l’imbasciata che si doveva uccidere questo Mimmo Riccio, che aveva una tabaccheria a Melito. In quel periodo non ci si fidava di nessuno e mio cognato Maurizio Maione decise di andare personalmente da Ciro Di Lauro per avere conferma.
Ciro Di Lauro confermò e in più ci disse che se ce ne fosse stata possibilità si dovevano uccidere anche la moglie di Rito Calzone e la moglie di Genny “’o Mckay” (Gennaro Marino, ndr). Mimmo Riccio doveva morire perché, disse Ciro Di Lauro, riciclava e investiva i soldi di Raffaele Amato». Scatta il piano di morte, ma il primo tentativo, a causa di una soffiata errata, non va a segno. Il 25 novembre Massimo Molino torna a parlare del raid indicando i presunti responsabili: «La mattina dopo, di domenica, ci trovammo tutti al Parco Copec. Partirono Maurizio Maione a volto scoperto, “’o marenaro”, Pasquale Malavita e “Cicciotto” (Ciro Barretta, ndr). “’O marenaro” si portò due pistole. Pasquale una 9x21 e anche Maione aveva una 9x21. Scesero in tre, entrò prima “”o marenaro” che sparò con la 7,65 che si inceppò, ma uno o più colpi partirono e uccise Riccio usando anche l’altra pistola. Pasquale uccise quello che stava con lui. Maione scese anche dall’auto, con la pistola, a fare da palo, per coprire l’azione omicida. “Cicciotto” rimase in macchina»
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