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25 Febbraio 2022 - 07:15
SECONDIGLIANOOmicidio Riccio-Gagliardi, il neo pentito: «Qualcuno le avrà spostate». Sopralluogo alla “Cuparella” dopo le rivelazioni dell’ex sicario dei Di Lauro
NAPOLI. Un giallo lungo diciassette anni e forse ancora lontano dall’essere del tutto risolto. Il clan Di Lauro, la temibile cosca che tempo immemore tiene sotto scacco un’ampia fetta di città e dell’hinterland, si ritrova adesso a dover fare i conti con le inedite, scottanti rivelazioni di Massimo Molino, ex componente del gruppo di fuoco secondiglianese e cognato del ras Maurizio Maione. Il neo collaboratore di giustizia, come anticipato ieri dal “Roma”, è stato l’uomo che ha contribuito all’individuazione e all’arresto dei quattro presunti responsabili degli omicidi di Domenico Riccio, riciclatore del rivale clan Abbinante, e dell’innocente Salvatore Gagliardi. Le ricostruzioni dell’ex killer hanno però già impattato su un primo scoglio investigativo: le armi usate per il raid, o meglio ciò che ne rimaneva, non sono state infatti trovate nel luogo che aveva indicato ai pm. Per il duplice delitto avvenuto nella tabaccheria di Melito il 20 novembre 2004 sono finiti in manette il rampollo Ciro Di Lauro, Salvatore Petriccione “’o marenaro”, Ciro Barretta “Cicciotto” e Giovanni Cortese “’o cavallaro”, tutti a vario titolo ritenuti coinvolti nelle fasi organizzative ed esecutive del micidiale agguato. In merito ai momenti successivi al raid, ecco cosa ha dichiarato Molino appena il 25 novembre scorso: «Le pistole furono sotterrate in una strada detta Cuparella, che all’epoca non era asfaltata, ed era una scorciatoia che si usava per andare da Melito a Sant’Antimo. Questa strada era adiacente al luogo da dove era partito l’agguato, il Parco Copec. La stessa strada fu da noi presa la sera dell’omicidio per andare a bruciare la macchina». Il neo pentito ha quindi insistito sulla circostanza, spiegando: «Il punto preciso in cui sono state sotterrate le armi lo conosco perché poco prima, circa due mesi prima, del mio arresto del 19 aprile 2021 (per il tentato omicidio di Gennaro Casaburi, ndr) siamo passati di lì io e Marco Mango, mio nipote e colui che insieme a Rosario Di Bello tagliò le pistole e seppellì le parti residue, e ci fermammo a fare un bisogno. In quell’occasione Marco mi disse “che coincidenza, proprio qua è dove abbiamo sotterrato le pistole” dell’omicidio, indicandomi un albero che saprei riconoscere. Ovviamente non so se a seguito della mia collaborazione, di cui i miei parenti sono certamente a conoscenza, le armi siano state tolte da lì». Ed effettivamente qualcosa sembra essere successo. Dalla lettura del provvedimento cautelare che ha portato in carcere il commando del clan Di Lauro si apprende infatti che gli inquirenti che stanno lavorando al caso hanno eseguito un sopralluogo nella zona della “Cuparella”. Nonostante l’accurate ispezione e gli scavi, i resti delle pistole non sono però stati individuati. Il mancato riscontro non ha però intaccato la ricostruzione fornita dal collaboratore di giustizia. Secondo i pm, infatti, «tale circostanza non può certo essere sopravvalutata, tenuto conto del significativo lasso temporale trascorso tra i fatti in contestazione e il momento del sopralluogo».
_ Nella foto il ras Ciro Di Lauro; nel riquadro il pentito Massimo Molino
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