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Anziani truffati, non fu camorra: salva la holding vicina ai Contini

Anziani truffati, non fu camorra: salva la holding vicina ai Contini

La holding di Cristiano e Lettieri incassava fino a 200mila euro a settimana. La Dda ottiene 21 condanne, ma i giudici escludono l’aggravante mafiosa

NAPOLI. Truffatori in odore di camorra, l’inchiesta supera anche il vaglio dei giudici di secondo grado ma ne è esce molto ridimensionata. La Procura ha, sì, ottenuto ventuno condanne per altrettanti imputati accusati di aver messo a segno una raffica di raggiri ai danni di anziani, ma i giudizi della terza sezione della Corte d’appello di Napoli hanno escluso per tutti l’aggravante dell’agevolazione mafiosa. Secondo la ricostruzione dei pm, infatti, i presunti specialisti della truffa avrebbero agito per conto, o comunque sotto l’ala protettiva, del clan Contini. I giudici di appello non sono stati però dello stesso avviso e quella che ne è scaturita è stata una lunga serie di pene rideterminate al ribasso.

Questo, nel dettaglio, il verdetto pronunciato nel tardo pomeriggio di ieri: Enrico Lettieri (difeso dall’avvocato Rocco Maria Spina), 4 anni e 6 mesi; Luigi Pecoraro, 4 anni e 1 mese; Tommaso Cristiano (difeso dagli avvocati Leopoldo Perone e Giuseppe Ricciulli), 4 anni; Luigi Murolo, 4 anni e 8 mesi; Alessandro Grimaldi (difeso dagli avvocati Leopoldo Perone e Mario Bruno), 3 anni e 8 mesi; Vincenzo Grivano, 3 anni e 8 mesi; Vincenzo Di Frenna, 2 anni e 11 mesi; Salvatore Volgare, 2 anni e 11 mesi; Raffaele Iavazzi, 2 anni e 11 mesi; Marco Di Frenna, 2 anni e 8 mesi; Alan Diglio, 2 anni e 8 mesi; Alessio Passariello, 2 anni e 8 mesi; Massimo Eposito, 2 anni e 8 mesi; Gaetano Piscopo, 2 anni 8 mesi; Aleandro Vincenzo Carmellino, 2 anni e 6 mesi; Salvatore Muccillo, 2 anni e 8 mesi; Michele Diana, 2 anni e 8 mesi; Francesca Testa, 2 anni e 6 mesi; Alessandro Grivano, 2 anni e 6 mesi; Giovanni Tesone, 2 anni e 6 mesi; e Simona Lettieri, 2 anni e 6 mesi. L’indagine era culminata in un blitz con oltre venti arresti nel novembre del 2019. con A capo del business c’era un’organizzazione principale composta da madre e due figli, Emilia Peluso e i figli Giuseppe e Diana Espedito, nonché Tommaso Cristiano. Da questa organizzazione dipendevano una decina di sottogruppi, ciascuno dei quali operava in una zona di propria competenza. La struttura di ciascun sottogruppo era simile e in qualche caso i “dipendenti” erano anche interscambiabili. 

C’era ad esempio quello che selezionava la vittima da agganciare e c’era il “telefonista” che contattava la preda fingendo ora di essere un carabinieri, ora un poliziotto, ora un avvocato. Il contenuto della telefonata era pressoché identico: si sosteneva che un prossimo congiunto della vittima fosse nei guai e che c’era bisogno di soldi per “salvarlo”. Quasi sempre le povere vittime abboccavano, anche perché non avevano ragione per non fidarsi di un carabiniere e di un poliziotto. E poi vi è da dire che, per rendersi più credibili, i finti esponenti delle forze dell’ordine facevano sentire in sottofondo anche il rumore delle sirene, a volere fare credere che era in corso un’operazione. Le vittime a loro volta consegnavano di tutto pur di aiutare quello che credevano essere un parente in difficoltà. Ogni settimana la holding incassava fino a 200mila euro.

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