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02 Marzo 2022 - 07:00
Pizzo e droga, i babyboss e il padrino Vincenzo evitano la stangata. L’inchiesta regge, ma in appello arriva una raffica di sconti
NAPOLI. Dopo gli omicidi e gli arresti subiti in seguito all’ultima faida di Forcella, erano riusciti a rimettersi in sesto. Anzi, avevano persino alzato il tiro organizzando nuove e più attrezzate piazze di spaccio e mettendo in piedi uno spaventoso giro di estorsioni: alla morsa del “nuovo” clan Sibillo quasi nessuno riusciva a sottrarsi e nel mirino della cosca di piazza San Gaetano erano finiti anche alcuni nomi eccellenti del commercio dei Decumani, su tutti le pizzerie “Il Presidente” e “Sofia”, ma anche rinomate botteghe come la macelleria-salumeria “Sole”. Dopo la retata incassata alla fine del 2019, in primo grado era così arrivata una sfilza di condanne a dir poco severe.
L’inchiesta ha sostanzialmente superato anche il vaglio dei giudici di appello, ma l’ultimo verdetto si è dimostrato ben più soft: tutti i quattordici imputati, a partire dal boss Vincenzo Sibillo, padre dei fratelli Pasquale ed Emanuele, hanno infatti rimediato sconti di pena nell’ordine dei tre anni. Queste, nel dettaglio, le condanne inflitte dai giudici della prima sezione della Corte d’appello di Napoli: Ciro Albano, 9 anni e 4 mesi; Luca Capuano, 9 anni e 2 mesi in continuazione con altra sentenza; Rita Carrano, 6 anni e 10 mesi; Francesco Pio Corallo, 8 anni e 8 mesi in continuazione con altra sentenza; Raffaella Criscuolo, 3 anni e 6 mesi; Antonio Esposito, 7 anni e 4 mesi; Enza Grossi, 14 anni e 4 mesi in continuazione con altra sentenza; Giuseppe Napolitano, 9 anni e 8 mesi in continuazione con altra sentenza; Giovanni Ingenito, 9 anni e 8 mesi; Giovanni Matteo, 9 anni e 6 mesi; Marco Napolitano, 7 anni e 1 mese; Alessia Napolitano, 6 anni e 10 mesi in continuazione con altra sentenza; Roberto Postiglione, 2 anni e 8 mesi; Vincenzo Sibillo, 7 anni. Il verdetto dei giudici di secondo grado ha dunque ampiamente soddisfatto, vista anche la gravità delle accuse e del quadro indiziario, il collegio difensivo rappresentato dagli avvocati Dario Carmine Procentese, Giovanni Abet, Giuseppe Ricciulli, Riccardo Ferone, Fabio Segreti e Marco Muscariello. L’inchiesta che ha portato i 14 imputati alla sbarra ha dimostrato come l’inarrestabile ascesa del clan Sibillo corresse a velocità famelica su due binari paralleli. Il traffico di droga da un lato, con l’impegno in prima linea degli esponenti della famiglia Napoletano n particolare di Giosuè, padre del babykiller Antonio “’o nannone”, ma anche di Giovanni Ingenito e Giovanni Matteo (questi ultimi indicati dalla Dda come gli ultimi reggenti della cosca), oltre che di Vincenza Carrese, giovane moglie del boss detenuto Pasquale Sibillo. Ma era soprattutto sul fronte del racket che i nuovi uomini della “paranza dei bambini” mostravano tutta la propria spregiudicatezza. Stando alla ricostruzione della Procura, nel mirino della cosca di San Gaetano sarebbero finite almeno due pizzerie, “Il Presidente” e “Sofia”, e la macelleria-salumeria “Sole”.
Diversi uomini del clan Sibillo, vale la pena ricordarlo, erano già finiti in manette nella primavera precedente per le tangenti imposte alla pizzeria “Di Matteo”. Una vera e propria strategia del terrore. La consorte del babyboss, che tutti nel quartiere conoscono come “Nancy”, portava le imbasciate del compagno ai cugini reggenti, gestiva la cassa, conteggiando entrate e uscite e riscuoteva anche il pizzo, come quando ha convocato i titolari della pizzeria “Il Presidente” per intascare il denaro. Tra l’estate 2016 e l’aprile 2017 avrebbero versato nelle mani del clan Sibillo 1.900 euro.
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