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09 Marzo 2022 - 18:27
Guerra Ucraina-Russia, un incidente nucleare può accadere e le conseguenze sono imprevedibili". Lo scrive Energoatom, l'azienda di Stato ucraina che si occupa della gestione delle quattro centrali nucleari attive nel territorio del Paese nonché del disarmo dei tre reattori superstiti della centrale di Černobyl', in un post pubblicato sulla sua pagina Facebook. "Tutto questo incide negativamente sul lavoro e mette in pericolo la sicurezza nucleare. Un incidente può accadere in qualsiasi momento e le sue conseguenze sono imprevedibili", si legge ne post.
"Zaporizhzhya NPP e la città di Energodar sono sotto il controllo delle formazioni militari russe da 5 giorni" e "i dipendenti della centrale sono sottoposti a forti pressioni psicologiche da parte degli occupanti, scrive ancora l'azienda di Stato ucraina aggiungendo che aggiungendo che "i nostri resistono, si rifiutano di collaborare con le guardie militari".
Tutte le centrali nucleari ucraine funzionano, fa sapere poi Energoatom. "Dalle ore 10.00 del 9 marzo 2022 le centrali nucleari in Ucraina continuano a funzionare costantemente", fa sapere, sottolineando che continuano a fornire le quantità necessarie di produzione di elettricità per le esigenze del Paese.
Quanto alle radiazioni, ignifughe ed ecologiche, nelle stazioni nucleari e nei territori limitrofi non sono cambiate e rientrano nei limiti delle norme vigenti.
Aggiornato il piano di sicurezza nucleare in Italia
Il piano di sicurezza nucleare in Italia è stato aggiornato, dopo 12 anni, per “fronteggiare le conseguenze di incidenti in impianti nucleari di potenza ubicati ‘oltre frontiera’, ossia impianti prossimi al confine nazionale, in Europa e in paesi extraeuropei”.
L’iter di aggiornamento del piano è iniziato diversi mesi prima dello scoppio della guerra in Ucraina e dei rischi correlati a incidenti nucleari nel Paese, ma è probabile che abbia subito un’accelerazione proprio in relazione all’escalation del conflitto con la Russia. Ecco cosa cambia.
Piano nucleare Italia, in cosa consiste e quando si attiva
Il piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari si attiverebbe in caso di un reale pericolo nucleare che, chiariscono le autorità, “al momento è inesistente“.
Tuttavia, in ottica preventiva, sono previste alcune misure per disciplinare le attività quotidiane nel caso di una effettiva emergenza. Tra esse ci sono:
• riparo al chiuso, con porte e finestre serrate e sistemi di ventilazione o condizionamento spenti;
• iodioprofilassi;
• controllo della filiera produttiva.
Cos’è la misura del “riparo al chiuso”, come si applica e per quanto tempo
Nel documento firmato dal capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, si legge: “La misura del riparo al chiuso consiste nell’indicazione alla popolazione di restare nelle abitazioni, con porte e finestre chiuse e i sistemi di ventilazione o condizionamento spenti, per brevi periodi di tempo, di norma poche ore, con un limite massimo ragionevolmente posto a due giorni“.
Nelle zone sottoposte al cosiddetto “riparo al chiuso” si vanno ad aggiungere ulteriori restrizioni:
• blocco cautelativo del consumo di alimenti e mangimi prodotti localmente (verdure, frutta, carne, latte);
• blocco della circolazione stradale;
• misure a tutela del patrimonio agricolo e zootecnico.
In caso di attivazione del piano, le autorità competenti dovranno garantire comunicazioni tempestive ai cittadini, istruzioni specifiche alle scuole, sopperire ai bisogni primari della popolazione, come ad esempio la fornitura di cibo, acqua, assistenza sanitaria, energia.
Inoltre, sarà compito della Protezione civile fornire “precise indicazioni su modalità e tempi di attuazione di un eventuale intervento di profilassi iodica su base farmacologica per l’intera popolazione”, fa sapere l’Istituto superiore di sanità. L’Iss ha quindi sconsigliato l’uso di farmaci “fai da te”, mentre è “raccomandato il solo utilizzo del sale iodato per la preparazione e la conservazione degli alimenti”.
Quando ricorrere alla somministrazione di iodio stabile
Nel nuovo piano vengono fornite anche indicazioni per la iodioprofilassi. Si tratta di “una efficace misura di intervento per la protezione della tiroide, inibendo o riducendo l’assorbimento di iodio radioattivo, nei gruppi sensibili della popolazione”.
Nel nuovo piano aggiornato, “il periodo ottimale di somministrazione di iodio stabile è meno di 24 ore prima e fino a due ore dopo l’inizio previsto dell’esposizione. Risulta ancora ragionevole somministrare lo iodio stabile fino a otto ore dopo l’inizio stimato dell’esposizione”.
Somministrare lo iodio stabile dopo le 24 ore successive all’esposizione, invece, “può causare più danni che benefici“.
Il piano stabilisce che la misura della iodioprofilassi è indicata per:
• le classi di età 0-17 anni,
• le classi di età 18-40 anni;
• le donne in stato di gravidanza e allattamento.
«Con incidente a centrale nucleare rischio migliaia di tumori»
"Il rischio concreto c'è sicuramente. Di che tipo di rischio parliamo, dipenderà da cosa succede" ma un incidente come quello di Chernobyl "potrebbe causare decine di migliaia di tumori”. E una soluzione, la scienza non l'ha ancora trovata: insomma, non esistono un farmaco o una cura che possano salvarci dalle radiazioni. L'unica cura possibile è la prevenzione primaria. Così all'AdnKronos Daniele Mandrioli, direttore del Centro di Ricerca sul Cancro Cesare Maltoni dell’Istituto Ramazzini che da 30 anni studia gli effetti cancerogeni delle radiazioni ionizzanti, come appunto quelle derivate dal disastro nucleare di Chernobyl.
Due gli scenari di cui parla Mandrioli, "quello dell'incidente acuto, come è stata l'esplosione di Chernobyl, in cui si parla di migliaia e migliaia di persone che hanno perso la vita, e quello degli effetti a lungo termine: sono oltre 45mila i casi di tumore stimati e previsti fino al 2065". Si va dunque dai danni acuti, che possono essere anche letali nell'arco di una manciata di minuti, agli effetti a lungo termine che prevedono tumori in primo luogo, ma anche "effetti sullo sviluppo, sulla fertilità, malformazioni e malattie cromosomiche legate alle capacità della radiazioni ionizzanti di distruggere il nostro codice genetico".
Soluzioni? "Ci sono tante modalità tanto poco efficaci per proteggersi dalle radiazioni, meglio non chiedersi cosa fare dopo perché se avessimo avuto la soluzione non avremmo il problema Chernobyl", irrisolto 35 anni dopo il disastro. Le pasticche di iodio? "Un dibattito poco scientifico. Non è con le pasticche di iodio che si fanno strategie di prevenzione. La prevenzione si fa non facendo esplodere le centrali nucleari". Insomma non c'è un modo per proteggerci dalle radiazioni, "si può fare solo prevenzione primaria, cioè impedirne la fuoriuscita. Tutto il resto è mettere delle pezze piccoline su problemi enormi".
Per il direttore del Centro di Ricerca sul Cancro Cesare Maltoni, "uno degli insegnamenti che abbiamo tratto da Chernobyl è l'importanza della ricerca indipendente su questi temi. Degli effetti delle radiazioni si sapeva ben poco, ma una delle strategie importanti è la prevenzione primaria ovvero conoscere gli effetti delle sostanze e degli agenti fisici ai fini delle decisioni strategiche e dello sviluppo di tecnologie".
A seguito del disastro di Chernobyl nel 1986 l’Istituto Ramazzini ha condotto una serie di studi sugli effetti cancerogeni delle radiazioni ionizzanti, in particolare sugli effetti a lungo termine e su quelle che ai tempi venivano considerate 'basse dosi'. I primi risultati degli studi sperimentali a lungo termine evidenziarono subito importanti effetti cancerogeni anche alle più basse dosi studiate nei ratti. Si trattava di dosi simili o spesso inferiori a quelle assorbite dalla popolazione generale nelle zone contaminate.
Grazie al supporto dei 35.000 soci dell’istituto, alla Provincia di Bologna e i suoi Comuni e all’Arpa della Regione Emilia-Romagna, il progetto sulle radiazioni ionizzanti dell’Istituto Ramazzini ha fornito importanti risultati nel corso di questi anni. Si tratta di una attività di ricerca ancora in corso: entro la fine di quest’anno verranno prodotti i risultati degli esperimenti sul confronto tra gli effetti tra radiazioni ionizzanti frazionate (esposizioni a dosi più basse, ma ripetute nel tempo, simili all’utilizzo che viene fatto ai fini diagnostici e terapeutici) e radiazioni somministrate in un'unica esposizione (scenario espositivo più simile a quanto accade durante disastri nucleari).
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