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Clan Giuliano all’ultima fermata: nove condanne nell’appello-bis

Clan Giuliano all’ultima fermata: nove condanne nell’appello-bis

Per i giudici il figlio di “Zecchetella” e Salvatore Cedola non erano però i capi.Fiumi di droga a Forcella e ai Decumani, stangata per ras e fiancheggiatori

NAPOLI. Gotha e seconde linee del clan Giuliano tornano alla sbarra per la conclusione del nuovo processo d’appello disposto dalla Corte di Cassazione e quella che ne scaturisce è l’ennesima sfilza di condanne. La Procura, dal canto suo, ha visto sostanzialmente reggere l’impianto accusatorio nonostante il precedente annullamento, ma i giudici della quinta sezione hanno comunque sfoderato alcuni importanti colpi di scena, come l’esclusione dell’aggravante dell’accusa di essere stati capi e promotori della cosca per i presunti ras Salvatore Cedola e Giuseppe Giuliano, il figlio di “Zecchetella”.

Questo, dunque, il verdetto pronunciato ieri sera dalla Corte d’appello di Napoli: Giuseppe Giuliano, difeso dagli avvocati Roberto Saccomanno e Leopoldo Perone, 11 anni in continuazione con altra sentenza; Salvatore Cedola, 14 anni e 2 mesi di reclusione in continuazione con altra sentenza; Salvatore Frenna, 7 anni; Domenico Giaquinto, difeso dall’avvocato Fabio Segreti, 7 anni e 4 mesi in continuazione con altra sentenza; Ciro Gioia, difeso dall’avvocato Francesco Pugliese, 5 anni a fronte dei precedenti 6 anni; Luigi Giuliano junior, 11 anni e 8 mesi; Lucia Ioia, difesa dall’avvocato Sergio Simpatico, 4 anni e 8 mesi; Raffaele Maddaluno, difeso dall’avvocato Antonio Iavarone, 6 anni e 2 mesi; Gennaro Pollaro, difeso dall’avvocato Sergio Simpatico, 4 anni e 8 mesi. Il processo era scaturito dalla complessa indagine che nel 2013 accertato l’alleanza tra i nuovi Giuliano, i Sibillo, gli Amirante e i Brunetti con i Rinaldi di San Giovanni a Teduccio.

Le indagini dei poliziotti della ” della Squadra mobile della questura, coordinate dalla Dda di Napoli, si erano condensate in una robusta informativa sul traffico di droga gestito in  particolare dall’allora emergente gruppo Sibillo nella zona compresa tra via Atri, piazza San Gaetano, via San Gregorio Armeno e via Duomo.

Tra i capi c’erano Vincenzo Sibillo (padre di Pasquale e del defunto Emanuele, ucciso in un agguato in via Oronzio Costa nell’estate del 2015), Antonio Esposito detto “Tonino ’o mostro”, Salvatore e Francesco Frenna e i Riccio, un’intera famiglia finita nel mirino degli investigatori:Gennaro Riccio, la moglie Anna D’Avolio e i loro figli Alessandro e Ilario. Una delle piste investigative aveva poi fatto emergere l’esistenza di una nuova tratta della droga con alcuni narcos albanesi. Il gruppo Sibillo-Frenna, dopo la rottura per diverbi sul pagamento e la riappacificazione in nome degli affari, voluta da Vincenzo Sibillo “’o nennillo”, si riforniva inoltre di droga da narcos calabresi con base a Gioia Tauro. Lo dimostravano le intercettazioni e l’esame degli spostamenti della Smart su cui la polizia aveva piazzato una delle microspie che avevano dato impulso all’inchiesta. Le indagini avevano poi fatto emergere il ruolo delle donne all’interno dell’organizzazione con base tra Forcella e i Decumani: dei veri e propri alter ego dei mariti ras. Per alcuni di questi ultimi il secondo processo d’appello ha però smantellato l’accusa verticistica.

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