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16 Marzo 2022 - 07:54
Pugnalate alla sorella e al marito, niente sconti neppure in appello: i tre Acciarino incassano nove anni a testa
NAPOLI. I giudici di secondo grado escludono l’aggravante della premeditazione, ma l’esito del processo non cambia e per i tre fratelli Acciarino arriva un’altra stangata. Ieri pomeriggio la prima sezione della Corte d’appello di Napoli ha inflitto nove anni di reclusione a testa a Ciro Acciarino, Emanuele Acciarino e Giovanni Acciarino, accusati di aver sferrato una raffica di fendenti ai danni della sorella e del marito, questi ultimi rappresentati dall’avvocato Roberto Saccomanno.
Un regolamento di conti familiare, per il quale la giustizia ha presentato loro un conto a dir poco salato. I tre avevano tra l’altro rimediato la stessa pena anche nel processo di primo grado celebrato con il rito abbreviato e definito nel febbraio dello scorso anno. I panni sporchi, come si suol dire, si lavano in famiglia. Ai fratelli Ciro, Emanuele e Giovanni Acciarino la faccenda dev’essere però sfuggita di mano quando il 6 settembre del 2019, all’apice di un’escalation di tensioni e minacce che andava avanti ormai da tre mesi, decidono di affrontare la sorella Anna in via Foria. Dalle parole ai fatti il passo è breve. Tra i due gruppi di parenti rivali volano insulti e spintoni. A un certo punto salta fuori anche una lama e la donna e il marito, Carmine Riccio, centrati da diversi fendenti al torace, finiscono per avere la peggio: ricoverati in ospedale con prognosi superiori ai trenta giorni, riusciranno a cavarsela senza conseguenze permanenti, seppur con un iniziale danno polmonare.
A stretto giro di posta, dopo la denuncia dei coniugi, partono le indagini della polizia e i presunti aggressori vengono arrestati nel giro di pochi mesi, non prima però di aver trascorso qualche settimana di troppo in stato di irreperibilità: sulla loro testa pendeva infatti un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Per i tre fratelli imputati con l’accusa di tentato omicidio aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi il pubblico ministero in sede di requisitoria aveva chiesto nove anni di reclusione a testa. La linea della Procura ha evidentemente fatto breccia sia nel convincimento del gip, che in quello dei giudici di appello, che infatti hanno complessivamente inflitto ai tre imputati 27 anni di reclusione. Un verdetto ritenuto più che soddisfacente dall’avvocato di parte civile, il penalista Saccomanno; molto meno dal collegio difensivo (avvocati Raffaele Esposito, Vincenzo Strazzullo e Claudio Davino), che almeno in appello contava di riuscire a spuntare una riduzione. L’indagine dei poliziotti del commissariato Vasto-Arenaccia ha consentito di accertare che all’interno del nucleo familiare ormai da qualche tempo era in corso un acceso scontro scaturito da motivi economici e ruggini pregresse, tant’è che anche prima dell’aggressione del 6 settembre Ciro, Emanuele e Giovanni avevano già avvicinato la sorella e il marito con modi non troppo “rassicuranti”.Tornando invece all’imboscata di via Foria, gli imputati hanno ammesso che quel giorno giravano armati, ma in merito al ferimento hanno sostenuto di essersi difesi da Riccio, che sarebbe stato il primo a colpirli. Versione diametralmente opposta rispetto a quella fornita dalle vittime.
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