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17 Marzo 2022 - 08:00
Gli uomini del commando, tra cui il rampollo Raffaele, rimediano quattro anni
NAPOLI. L’eterna faida di Forcella si arricchisce di un nuovo capitolo giudiziario. Ad andare alla sbarra è stavolta l’ex boss della Maddalena, Vincenzo Amirante, il quale, transitato ormai da qualche anno tra le fila dei collaboratori di giustizia, ha trascinato con sé anche il figlio Raffaele Amirante e altri due affiliati, accusandoli di aver a vario titolo preso parte all’agguato del 3 maggio 2015 ai danni di Salvatore D’Alpino, solo omonimo del fedelissimo del clan Sibillo assassinato qualche mese più tardi dal rivale gruppo Buonerba.
Nonostante la pesante contestazione, i quattro imputati sono comunque riusciti a evitare la stangata. I giudici della Corte d’appello hanno infatti ribadito la precedente sentenza emessa dal gup Cervo, infliggendo così all’ex boss Vincenzo Amirante 2 anni e 8 mesi, pena ridotta in virtù del suo status di collaboratore di giustizia; Raffaele Amirante, difeso dall’avvocato Roberto Saccomanno, Salvatore De Magistris, difeso dall’avvocato Francesco Russo, e Gabriele Iuliano, difeso dall’avvocato Giuseppe Ricciulli, sono invece riusciti a cavarsela con 4 anni e 4 mesi di reclusione a testa: per tutti è stata esclusa l’aggravante dei motivi futili e abietti. Vincenzo Amirante era però stato meno convincente nell’ottobre scorso, quando le accuse rivolte al figlio si sono rivelate un clamoroso buco nell’acqua.
L’ex ras della Maddalena, dopo aver indicato Raffaele come uno dei responsabili del tentanto omicidio di Alessandro Riccio, non aveva trovato approdo in una sentenza di condanna, anzi. Il processo di primo grado che ha visto alla sbarra il “rampollo” Raffaele, difeso anche in quel caso dall’avvocato Saccomanno, si è infatti concluso con una clamorosa assoluzione. Un verdetto, quello pronunciato dagip Bardi, che ha lasciato di sasso la pubblica accusa: il pm aveva invocato ben 15 anni di reclusione per il presunto sicario. L’unico condannato è stato invece proprio l’ex boss Vincenzo Amirante, che ha rimediato sei anni di carcere. Il delitto che ha portato alla sbarra Raffaele Amirante - che comunque ha affrontato il rito abbreviato a piede libero - risale al 27 marzo 2015, l’ultimo sanguinoso capitolo della faida di Forcella.
Stando alla ricostruzione dell’accusa, quel giorno Riccio e Manuel Brunetti si erano appostati in largo Donnaregina, sotto casa di Salvatore De Magistris, con l’obiettivo di assassinare proprio Vincenzo Amirante. Quest’ultimo, raggiungendo l’abitazione di De Magistris, si sarebbe avrebbe però accorto della presenza del commando e, dopo essersi affacciato al balcone posto al terzo piano, avrebbe attirato l’attenzione dei due sicari grazie alla complicità del figlio. Riccio e Brunetti, resisi conto di essere stati ormai scoperti, hanno dunque fatto fuoco verso l’appartamento esplodendo nove colpi di pistola. Gabriele Iuliano, altro uomo del gruppo Amirante e anch’egli presente sulla scena, avrebbe a quel punto risposto centrando Riccio al gluteo. Il commando si è dileguato e solo una manciata di ore sono arrivati sul posto anche i carabinieri.
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