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Il Riesame gela Di Lauro jr

Il Riesame gela Di Lauro jr

Delitto Riccio-Gagliardi, custodia cautelare in carcere confermata per il boss e per Cortese “’o cavallaro”

NAPOLI. Duplice omicidio in tabaccheria all’alba della prima faida di Scampia, i giudici delle Libertà sposano la linea della Procura e per il rampollo Ciro Di Lauro arriva la prima tegola: la conferma dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere da cui era stato colpito il mese scorso insieme ad altri tre esponenti di punta della cosca di cupa dell’Arco.

Il tribunale del Riesame si è dunque pronunciato contro l’annullamento della misura cautelare in carcere presentata dall’avvocato Claudio Davino, difensore di Ciro Di Lauro, arrestato lo scorso 22 febbraio dai carabinieri, i quali, insieme con la Dda di Napoli, contestano, al figlio del capoclan Paolo Di Lauro, il duplice omicidio avvenuto a Melito, il 21 novembre 2004, di Domenico Riccio, ucciso per la sua vicinanza al clan Abbinante, e dell’innocente Salvatore Gagliardi. La stessa decisione è stata adottata dai giudici nei confronti di Giovanni Cortese “’o cavallaro”, anche lui arrestato lo stesso giorno insieme con altri due indagati Salvatore Petriccione e Ciro Barretta (questi ultimi due già detenuti), i cui avvocati non hanno presentato alcuna istanza al Riesame.

La svolta sul caso è arrivata dopo tanti anni grazie al recentissimo pentimento di Massimo Molino, uno degli uomini che avrebbe dovuto prendere parte al delitto Riccio-Gagliardi. Molino, affiliato e sicario al servizio del clan Di Lauro, è passato dalla parte dello Stato e con le sue scottanti rivelazioni ha deciso di fare luce su una drammatica pagina di camorra: la prima faida di Scampia e Secondigliano. Molino, volto noto agli investigatori antimafia per i suoi precedenti penali e per essere il cognato del ras Maurizio Maione, ha contribuito in maniera determinante a chiudere il cerchio intorno ai presunti mandanti e sicari dell’omicidio di Domenico Riccio e dell’innocente Salvatore Gagliardi, ammazzati con sei colpi di pistola in una tabaccheria di Melito la mattina del 21 novembre 2004, poche ore prima del brutale assassinio di Gelsomina Verde.

Per il duplice delitto il mese scorso sono finiti in manette il rampollo Ciro Di Lauro, figlio dell’indiscusso capoclan Paolo, Giovanni Cortese “’o cavallaro”, Ciro Barretta e Salvatore Petriccione “’o marenaro”. Dopo quasi vent’anni di indagini al ralenti, la svolta sul caso è arrivata il 17 novembre scorso, quando Molino, fresco collaboratore di giustizia, ha reso una prima deposizione agli inquirenti della Dda. Accuse che sono andate a sommarsi alle precedenti sottoscritte dall’ex ras Salvatore Tamburrino: «Ciro Di Lauro - ha spiegato il neo pentito - ci disse che ci dovevamo affiancare, per fare la guerra, al gruppo di “Totore ’o marenaro”, nel quale c’erano Pasquale Malavita e Ciro Barretta “Cicciotto”». La vicenda viene quindi così ricostruita: «“’O marenaro” ci mandò l’imbasciata che si doveva uccidere questo Mimmo Riccio, che aveva una tabaccheria a Melito. Mio cognato Maurizio Maione decise di andare personalmente da Ciro Di Lauro per avere conferma, il quale ci disse che se ce ne fosse stata possibilità si dovevano uccidere anche la moglie di Rito Calzone e la moglie di Genny “’o Mckay”». La faida era ormai dietro l’angolo

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