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Clan Di Lauro, affondo del pm

Clan Di Lauro, affondo del pm

Delitto De Magistris, invocato il carcere a vita per Nunzio e Antonio Mennetta. Marco “F4” rischia 20 anni

NAPOLI. Omicidio eccellente per vincere la prima faida di Scampia, il clan Di Lauro verso l’ennesima stangata giudiziaria. Il processo di primo grado che vede alla sbarra il gotha della storica cosca secondiglianese entra nel vivo con la requisitoria del pubblico ministero e per i tre ras imputati si profila una sfilza di pene severissime. Dopo averli a vario titolo accusati di aver preso parte all’omicidio di Salvatore De Magistris, la Procura ha invocato la pena dell’ergastolo per Nunzio Di Lauro e Antonio Mennetta; vent’anni di reclusione, invece, per il boss Marco Di Lauro. Salvatore De Magistris era il patrigno di un uomo che era passato con il clan avversario, i ribelli Amato-Pagano, e per questo motivo è stato eliminato senza alcuna pietà. I sicari, dicono le indagini coordinate dalla Procura di Napoli, furono Nunzio di Lauro e Antonio Mennetta, e agirono su impulso del ras Marco di Lauro, boss di Secondigliano, all’alba della prima faida con gli Scissionisti per il controllo delle piazze di spaccio. Era il 30 ottobre del 2004 e nel marzo scorso, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, i tre presunti responsabili del delitto, tutti già detenuti per altri gravi fatti di sangue, sono nuovamente finiti in manette.

Di omicidio volontario con dolo diretto, devono rispondere Mennetta e Nunzio Di Lauro, con l’aggravante delle sevizie e per avere commesso il reato per favorire l’associazione camorristica di appartenenza, mentre il gip contestava l’omicidio volontario con dolo, ma con concorso anomalo, a Marco Di Lauro, che malgrado non avesse ordinato l’omicidio, avrebbe - secondo gli inquirenti - potuto prevedere che l’esito della spedizione punitiva poteva essere mortale. I tre, incassato in seguito il rinvio a giudizio, hanno chiesto di essere processati con il rito abbreviato: strategia pressoché obbligata per puntare, in caso di condanna, a un eventuale sconto di pena.

Ad ogni modo la Procura ha tenuto il punto fino in fondo, tant’è che per i due presunti esecutori materiali ha chiesto la condanna massima. Le indagini sono state riaperte, dopo sedici anni, anche grazie al contributo fornito dal collaboratore di giustizia Salvatore Tamburrino, uomo di massima fiducia del boss Marco Di Lauro, pentitosi dopo essere stato arrestato per l’uccisione della moglie, Norina Matuozzo, occasione in cui fece anche arrestare il capoclan latitante. L’unico obiettivo di quella missione era punire il tradimento di Biagio Esposito, passato con gli Scissionisti, poi diventato collaboratore di giustizia. Nel cortile di un’abitazione di Secondigliano, Nunzio Di Lauro e Antonio Mennetta, poi diventato uno dei capi del clan della Vanella Grassi, picchiarono il sessantenne fino a ridurlo in fin Di vita. Poi, in sella a una Honda “Transalp”, mentre se ne stavano andando, passarono con una ruota della moto sopra il suo cranio. L’uomo restò in agonia un mese e il suo decesso avvenne in ospedale il 29 novembre. Della vicenda ha tra l’altro parlato anche Biagio Esposito, il quale, interrogato il 12 luglio 2011, ha spiegato che all’epoca non faceva parte né dei Di Lauro né degli emergenti Scissionisti

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