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Rapito e portato davanti al ras: «Mai fatto il nome di D’Onofrio»

Rapito e portato davanti al ras: «Mai fatto il nome di D’Onofrio»

Faida tra De Micco e De Luca Bossa: «Chiedo ai pm una perizia fonica»

NAPOLI. La faida di Ponticelli, e con essa l’omicidio del rampollo Carmine D’Onofrio, si tinge sempre più di giallo. A innescare l’ennesimo punto di domanda è una lettera che Giovanni Mignano, 24enne ritenuto dalla Procura organico al clan Casella, ha inviato dal carcere di Secondigliano, dove si trova detenuto da alcuni mesi per estorsione. Il nome di Mignano è balzato con prepotenza alla ribalta della cronaca in seguito al recentissimo arresto del boss Marco De Micco, accusato di essere il mandante del delitto D’Onofrio. Stando a quanto emerso dall’inchiesta, il capoclan di San Rocco avrebbe ordinato l’assassinio del 23enne figlio del ras rivale Giuseppe De Luca Bossa poiché lo riteneva responsabile dell’ordigno piazzato poche settimane prima davanti alla propria abitazione.

Ebbene, da alcune intercettazioni ambientali è emerso che a fare il nome di D’Onofrio a De Micco sarebbe stato proprio Mignano, il quale, rapito e portato a cospetto del boss, sarebbe stato costretto alla “confessione”. Una versione dei fatti che oggi il diretto interessato smentisce senza con fermezza. Il 29 aprile scorso Giovanni Mignano ha inviato una lettera alla propria famiglia. Una missiva che il “Roma” ha avuto modo di consultare e nella quale il 24enne espone le propria versione dei fatti: «Circa tre settimane fa - scrive il giovane - sono stati pubblicati articoli di giornale in cui veniva evidenziato il mio nome in merito a un’aggressione e minaccia di cui sono stato oggetto, in seguito alla quale avrei fatto il nome di un ragazzo che successivamente è stato vittima di camorra omicida. Detto ciò, voglio smentire il tutto a chi di dovere in quanto totalmente estraneo ai fatti». Stando a quanto sostenuto da Mignano, la voce captata dagli investigatori a l’interno dall’appartamento di Marco De Micco non sarebbe dunque la sua: «A causa di questi articoli temo per la mia vita e per quella dei miei familiari. Chiedo pertanto un incontro urgente con chi di dovere per smentire il tutto».

Giovanni Mignano lancia quindi un appello ai pubblici ministeri titolari dell’inchiesta, «da cui non ho ancora avuto una risposta e mi rendo disponibile a sottopormi anche a una perizia» Gli inquirenti della Dda, almeno fin qui, sono stati però di tutt’altro avviso, tant’è che dalla lettura del provvedimento cautelare che ha portato all’arresto di De Micco e dei presunti killer emergeva a chiare lettere proprio il nome di Giovanni Mignano, indicato come il complice di D’Onofrio nel raid dinamitardo consumatosi davanti casa del ras rivale. Dopo il presunto rapimento di Mignano, scattò una micidiale caccia all’uomo che ben presto portò i De Micco a intercettare D’Onofrio, figlio naturale di Giuseppe De Luca Bossa, storico ras, insieme al fratello Antonio, dell’omonimo clan. Il giovane viene bloccato in piena notte mentre sta rincasando con la moglie. Incuranti della presenza della donna, i sicari esplodono sette colpi di pistola, cinque dei quali centrano la vittima al petto. D’Onofrio muore dissanguato in pochi secondi

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