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05 Maggio 2022 - 07:53
Delitto De Magistris: 30 anni a testa per Nunzio Di Lauro e Antonio Mennetta
NAPOLI. Vendetta con delitto all’alba della prima faida di Scampia e Secondigliano, i boss del clan Di Lauro riescono a evitare la stangata nel processo di primo grado. Imputati con l’accusa di essere a vario titolo responsabili, seppur con “gradi” diversi, dell’omicidio di Salvatore De Magistris, patrigno del rivale scissionista Biagio Esposito, tutti sono riusciti a cavarsela con bene inferiori rispetto a quanto invocato dalla pubblica accusa. Il ras Marco Di Lauro, difeso dall’avvocato Gennaro Pecoraro, a fronte di una richiesta a 20 anni, ha rimediato una condanna a 14 anni: il gip Rossetti ha infatti escluso per lui l’aggravante della crudeltà e a tempo stesso ha riconosciuto il concorso anomalo nel delitto. Bicchiere mezzo pieno anche per Nunzio Di Lauro, difeso dall’avvocato Claudio Davino, e Antonio Mennetta, difeso dall’avvocato Giuseppe Ricciulli, i quali hanno incassato trent’anni di carcere a testa. Per entrambi la Procura antimafia aveva invocato la pena massima: il carcere a vita.
Salvatore De Magistris era il patrigno di Biagio Esposito, emergente ras passato con il clan avversario, i ribelli Amato-Pagano, e per questo motivo venne eliminato senza alcuna pietà. I sicari, dicono le indagini coordinate dalla Procura di Napoli, furono Nunzio di Lauro e Antonio Mennetta, e agirono su impulso del ras Marco di Lauro, boss di Secondigliano, all’alba della prima faida per il controllo delle piazze di spaccio. Era il 30 ottobre del 2004 e nel marzo dello scorso anno, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, i tre presunti responsabili del delitto, tutti già detenuti per altri gravi fatti di sangue, sono nuovamente finiti in manette. Di omicidio volontario con dolo diretto, dovevano rispondere Mennetta e Nunzio Di Lauro, con l’aggravante delle sevizie e per avere commesso il reato per favorire l’associazione camorristica di appartenenza, mentre il gip contestava l’omicidio volontario con dolo, ma con concorso anomalo, a Marco Di Lauro, che malgrado non avesse ordinato l’omicidio, avrebbe - secondo gli inquirenti - potuto prevedere che l’esito della spedizione punitiva poteva essere mortale. I tre ras, incassato in seguito il rinvio a giudizio, hanno chiesto di essere processati con il rito abbreviato. Ad ogni modo la Procura ha tenuto il punto fino in fondo, tant’è che per i due presunti esecutori materiali ha chiesto la condanna massima.
Le indagini sono state riaperte, dopo sedici anni, anche grazie al contributo fornito dal collaboratore di giustizia Salvatore Tamburrino, uomo di massima fiducia del boss Marco Di Lauro, . L’unico obiettivo di quella missione era punire il tradimento di Biagio Esposito, passato con gli Scissionisti, e poi diventato collaboratore di giustizia. Nel cortile di un’abitazione di Secondigliano, Nunzio Di Lauro e Antonio Mennetta, poi diventato uno dei capi della Vanella Grassi, picchiarono il sessantenne fino a ridurlo in fin di vita. Poi, in sella a una Honda “Transalp”, mentre se ne stavano andando, passarono sopra il suo cranio dandogli il colpo di grazia
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